L’ultima luna di settembre

Ergej irekhgüi namar


01/12/2023 - 02/12/2023

Proiezione unica ore 21

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Regia: Amarsaikhan Baljinnyam
Interpreti: Amarsaikhan Baljinnyam - Tulga, Tenuun-Erdene Garamkhand - Tuntuulei, Damdin Sovd - Ambaa, Davaasamba Sharaw - nonno, Tserendarizav Dashnyam - nonna
Origine: Mongolia
Anno: 2022
Soggetto:
Sceneggiatura: Amarsaikhan Baljinnyam, Bayarsaikhan Batsukh
Fotografia: Josua Fischer
Musiche: Odbayar Battogtokh
Montaggio: Bayarsaikhan Batsukh
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 90


Il cinema dei buoni e sinceri sentimenti esiste e se esiste si trova da quelle parti nascoste agli occhi del mondo dove non arriva il segnale della tecnologia telefonica e dove ancora si falcia a mano senza l’aiuto di attrezzature meccaniche. L’ultima luna di settembre di Amarsalkhan Baljinnyam, qui all’esordio nella regia dopo i suoi trascorsi d’attore e produttore, è ambientato nella provincia più rurale della Mongolia e narra del ritorno a casa di Tulga, un giovane che aveva provato a trasferirsi dalla campagna alla città per trovare lavoro. Il suo improvviso rientro è dovuto alla malattia del patrigno. Lo assiste fino alla fine e poi si dedica a rimettere in ordine i campi. Nel frattempo dopo un primo scontro che prelude ad un profondo rapporto, stringe amicizia con Tuntuuelei un ragazzino che sa il fatto suo, che governa un gregge e gli risolve molti problemi. Lui sta con i nonni e sente forte il bisogno di un padre e se Tuntuuelei ha eletto Tulga a suo genitore elettivo, questi non può assolvere al compito. Un racconto semplice e naturale che arriva da un oriente che nonostante tutto continua ad essere sconosciuto, da una regione tra le geograficamente più vaste e in modo direttamente proporzionale, altrettanto misteriose. Il film, già presentato in Concorso al Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina, si muove tra due storie il cui tema centrale è quello della paternità surrogata, tra due affetti che nulla hanno da invidiare agli affetti biologici. Tulga è figlio di un padre adottivo, Tuntuulei, abbandonato dalla madre e orfano di padre, cerca un riferimento paterno.
Il protagonista, a sua volta, non solo sfugge all’affetto del ragazzino, ma nell’incipit anche ad un possibile amore poiché non accetta la paternità della donna che porta con sé il figlio di un altro.
Se da una parte il racconto costruisce l’attesa per una soluzione e la sceneggiatura sa spiazzare lo spettatore, dall’altra i sentimenti, forti e appassionati di Tutntuulei sembrano quasi nutrirsi e diventare spontanei come la luce dentro che illumina i paesaggi. L’ultima luna di settembre si nutre dunque di questa bellezza luminosa e segreta dei luoghi senza orizzonti e di quella spontaneità commovente che trova il suo apice nella straziante sequenza finale dell’addio tra i due personaggi. Si nutre anche di un mondo interiore dei due personaggi, di una rappresentazione che si avvale di uno spazio che sa diventare protagonista nel raccontare con indispensabile realismo questa favola, in fondo, un po’ amara. Una credibilità che non può essere messa in discussione e una composizione narrativa che sa toccare le corde giuste in questo film che sa essere basico racconto di formazione e riduzione alla semplicità, laddove la genuina caratteristica narrativa sa restituire al racconto una innocenza che spesso si è perduta altrove, un cinema che sa crescere attorno alle proprie tradizioni e ai propri personaggi, isolati e muti come i panorami che dominano quelle vite solitarie in cui esiste il tempo per il pensiero.
Tonino De Pace, SentieriSelvaggi.it

[…] Adattamento di un romanzo breve di T. Bum-Erden, non un soggetto originale dunque, L’ultima luna di settembre è tante cose diverse. La scoperta di una terra lontana e un’esplorazione rispettosa, sommessamente poetica, delle sue tradizioni e del suo incedere peculiare. Una riflessione sul concetto di genitorialità e famiglia aperto alla verità del sentimento, contro la rigidità dei legami di sangue. Il tentativo di codificare un senso, una cifra stilistica ed estetica per il cinema mongolo. Le parole d’ordine del film di Amarsaikhan Baljinnyam sono tradizione, delicatezza, afflato umanista, tempo e silenzio. Il suo film accumula molto ma ha l’aria di non curarsene troppo: non sempre centra il bersaglio, ma la delicatezza di tocco, la curiosità per un mondo restituito con molta cura allo spettatore e la solennità dei paesaggi, impressionano positivamente.
Cinematographe.it