Io capitano


27/10/2023 - 28/10/2023

Proiezione unica ore 21

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Regia: Matteo Garrone
Interpreti: Seydou Sarr, Moustapha Fall
Origine: Italia. Belgio
Anno: 2023
Soggetto: Matteo Garrone
Sceneggiatura: Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini, Andrea Tagliaferri
Fotografia: Paolo Carnera
Musiche: Andrea Farri
Montaggio: Marco Spoletini
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 112


I festival del cinema sono a volte catalizzatori dei grandi temi che segnano la contemporaneità. Bene ha fatto, Venezia, a mettere in concorso Io capitano di Matteo Garrone.
Garrone racconta il viaggio di due ragazzi senegalesi con toni che vanno dal lirico al tragico, e se non avessimo paura delle parole potremmo definirlo un film poetico (la poesia può essere dura, può restituire anche i lati più oscuri dell’umanità). Seydou e Moussa (i giovani Seydou Sarr e Moustapha Fall, straordinari) hanno 16 anni. Vivono a Dakar, sono poveri ma non se la passano male, hanno delle belle famiglie che si occupano di loro. Ma hanno anche un sogno: andare in Francia e diventare musicisti, e per inseguirlo hanno messo da parte un po’ di soldi a forza di lavoretti, di nascosto dalle rispettive mamme. Invano un anziano che è tornato dall’Europa li ammonisce: non partite, nel deserto vedrete solo morte e dolore, e una volta in Europa fa freddo e la gente dorme per strada… Io capitano è quello che gli americani chiamano un coming of age, un percorso di crescita attraverso il quale il ragazzo è costretto a diventare uomo. Il film ha improvvise accensioni oniriche, come nella scena in cui una donna che sta morendo di sete nel deserto si libra improvvisamente nel cielo come un uccello colorato. Garrone alterna questi squarci lirici (splendida la fotografia di Paolo Carnera) a sequenze di terribile realismo, perché a Seydou e a Moussa succede tutto ciò che ci aspettiamo: percosse, torture, estorsioni e una detenzione in una sorta di lager libico che non è un’anticamera dell’inferno, è proprio l’inferno in terra. È un film che tutti, a cominciare da chi ci governa, dovremmo vedere. È girato parte in wolof (la lingua del Senegal) parte in francese, l’unica battuta in italiano è quella del titolo: ciò nonostante, uscire di casa ed entrare in un cinema per vederlo è prima di tutto un gesto di umanità .
Alberto Crespi, la Repubblica

l viaggio per sedicenne Seydou e il cugino coetaneo Moussa ha senso invece proprio per tornare, un giorno magari non proprio vicino, al proprio paese, dai propri cari. Ma tornare da vincenti, da uomini realizzati, ovvero, nel caso in questione, da famosi musicisti a cui si chiedono autografi con riverenza e venerazione. Il sogno dell’Europa della realizzazione è un richiamo più forte dei freni che qualcuno, considerato folle o codardo, all’Europa guarda come ad un tranello, e al viaggio per raggiungerla come a qualcosa di ancor più pericoloso e letale.
Ma i due illusi scopriranno sulla loro pelle, come Pinocchio e Lucignolo diretti verso il paese dei balocchi – si potrebbe dire non troppo a sproposito parlando di cinema di Matteo Garrone, che i pericoli, gli inganni, le violenze e le sopraffazioni che si celano dietro questa traversata che già dalla partenza richiede somme proibitive, sono ancora maggiori di tutto ciò che i pessimisti un po’ invidiosi prevedevano dal paese natio del Senegal ove partono i due cugini.
Con Io capitano Matteo Garrone firma il suo progetto ad oggi più ambizioso ed importante, e ci racconta per filo e per segno la via crucis che, in termini frammentari la stampa in po’ ci ha già raccontato per vie sommarie, ma che con questo film ci vengono riproposte in tutta la sua più cruda, realistica e veritiera drammaticità.
Garrone utilizza uno stile di racconto asciutto, limpido, che punta al realismo più concreto senza mai nemmeno sfiorate la retorica, assemblando le disperate dinamiche di un esodo impossibile senza mai rischiare di sfiorare quel senso di accumulo che, anche solo a provare a raccontare a voce la storia di Seydou e Moussa, si rischierebbe di oltrepassare. Garrone ricorre ad un solo momento onirico, quello del volo della viaggiatrice agonizzante nel deserto, opportuno ed utile proprio per evitare che il dramma sfoci in patetismo.
E il viaggio si dipana in tutto il suo assurdo e crudele evolversi, fino ad una fine, che poi in effetti è in realtà un nuovo inizio, o tutto fuorché una fine.
La dinamica dell’accoglienza esula dal contesto a cui mira il film, e difatti Garrone accenna solo alla vergognosa prassi di rimbalzati la responsabilità tra paesi confinanti quando i relitti del mare navigano ancora in acque internazionali. Ma al film, che non ne ignora affatto le dinamiche, interessa altro, come si rivela corretto ed appropriato.
E “Io capitano”, titolo che si riferisce ad una promozione sul campo che Seydou si guadagna a pieno merito nella sua inimmaginabile via crucis tra deserti, contrabbandieri di anime e mari agitati, diventa il film più emozionante del Concorso veneziano: quello più urgente, necessario, stimolante per poter finalmente renderci edotti in modo puntuale e definitivo su questa epocale tragedia umana che pare non avere soluzioni all’orizzonte.
Alan Smithee, filmtv.it