Il caftano blu

Le bleu du caftan


20/10/2023 - 21/10/2023

Proiezione unica ore 21

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Regia: Maryam Touzani
Interpreti: Lubna Azabal - Mina, Saleh Bakri - Halim, Ayoub Messioui - Youssef
Origine: Francia, Marocco, Belgio, Danimarca
Anno: 2022
Soggetto:
Sceneggiatura: Maryam Touzani, Nabil Ayouch
Fotografia: Virginie Surdej
Musiche: Kristian Eidnes Andersen
Montaggio: Nicolas Rumpl
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 118


Bastano le primissime immagini, dove una mano verifica con delicatezza e sapienza la morbidezza e la consistenza di una tela di seta blu («blu petrolio» verrà specificato poi) per capire che la regista Maryam Touzani ama prendersi tutto il suo tempo. Lo stesso di cui ha bisogno Halim (Saleh Bakri), il protagonista di Il caftano blu, per portare a termine il suo lavoro di ricamatore: è un «maestro sarto» (mâalem in arabo) che cuce con perizia e soprattutto pazienza dei caftani che sono opere d’arte, in un piccolo laboratorio dove la moglie Mina (Lubna Azabal) tiene a bada l’impazienza delle clienti. Per fortuna un giorno si propone come assistente il giovane Youssef (Ayoub Missoui), curiosamente attratto da un mestiere che sta scomparendo («non si vede la differenza tra un caftano cucito a mano e uno cucito a macchina», sbotta una cliente che ha troppa fretta) e decisamente abile con ago e filo. Tanto da far sembrare inspiegabile la diffidenza che gli riserva Mina.
Giorno dopo giorno, cucitura dopo cucitura, il film accompagna lo spettatore dentro i segreti di una lavorazione antica e preziosa mentre impariamo a conoscere i protagonisti del film, lungo un percorso — lo si capisce subito — che ha bisogno di un incedere non frettoloso, capace di soffermarsi sui particolari e sulle esitazioni proprio com’è il lavoro paziente e meticoloso di un «maestro sarto», ma anche perché questo è il modo di sceneggiare e di filmare di Touzani, senza mai sentire il bisogno di alzare la voce (pur affrontando, lo si vedrà man mano che il film procede, temi decisamente controversi) ma come volendosi far scudo del proprio pudore, senza mai una parola di troppo, sempre rispettosa e attenta.
Halim e Mina danno l’impressione di sorreggersi l’un l’altra, lui come schiacciato da qualcosa che si fatica a definire, lei testardamente reattiva di fronte agli impegni quotidiani. A volte è fin sgarbata con alcune clienti e si capisce che digerisce a fatica l’aria di superiorità che i loro soldi sembrano in diritto di giustificare, ma poi vien da pensare che quei modi bruschi siano anche una difesa per proteggere il lavoro del marito, per liberare dai problemi quotidiani un uomo che sembra inchiodato alla sua routine quotidiana.
Sembra, perché con la delicatezza che la contraddistingue, la regista segue Halim anche quando va a lavarsi nell’hamman e quasi casualmente ci fa vedere che non entra da solo in una cabina. Sì, Halim ha pulsioni omosessuali, cosa che in Marocco è considerato un crimine punibile da sei mesi a tre anni di reclusione. Ecco perché Mina non vedeva tanto di buon occhio quel giovane apprendista che ogni tanto Halim guardava con intensità e che dal ragazzo veniva ricambiato in silenzio. Ma a giustificare certi suoi comportamenti spigolosi, arriva anche un’altra spiegazione: una malattia che ormai è arrivata a uno stadio non più curabile.
Quasi casualmente (in realtà grazie a un modo di raccontare che dà l’impressione di scivolare sulle cose proprio per evitare ogni tentazione voyeuristica o scandalosa) la storia del caftano blu che ha bisogno di così tanto tempo per essere completato diventa sotto i nostri occhi lo spaccato di un Paese dove ognuno fatica a farsi accettare. La regista Maryam Touzani lo aveva già raccontato nel suo film d’esordio, Adam (2019, inedito in Italia) sull’ostracismo che la società dimostrava per le giovani rimaste incinte fuori dal matrimonio, lo conferma adesso con quest’opera delicata come dev’essere la mano del sarto sulla seta da ricamare.
Proseguendo nel suo viaggio dentro le ipocrisie del Marocco, il film saprà ancora stupire (specie nelle confidenze che marito e moglie si faranno nel segreto della loro casa) ma soprattutto avrà impartito una bella lezione di metodo sull’accettazione della propria natura e sul bisogno di imparare a convivere con quello che urge dentro ogni cuore. Senza strepito ma anche senza drammi. E il fatto che a capirlo meglio e prima sia una donna, è un’ulteriore lezione che la regista regala al pubblico ma che soprattutto offre al proprio Paese.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera