Oppenheimer


13/10/2023 - 14/10/2023

Proiezione unica ore 21

Acquista i biglietti


Regia: Christopher Nolan
Interpreti: Cillian Murphy - J. Robert Oppenheimer, Florence Pugh, Rami Malek, David Dastmalchian, Emily Blunt, Matt Damon, Robert Downey Jr., Jack Quaid, Matthew Modine, Benny Safdie, Josh Hartnett, Dane DeHaan, Alden Ehrenreich, Alex Wolff, David Krumholtz
Origine: Stati Uniti
Anno: 2022
Soggetto: tratto dal best-seller "American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer" di Kai Bird e Martin J. Sherwin (2005)
Sceneggiatura:
Fotografia: Hoyte Van Hoytema
Musiche: Ludwig Göransson
Montaggio: Jennifer Lame
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 180


(…) Basandosi sulla fluviale e dettagliatissima biografia di Kai Bird e Martin J. Sherwin (American Prometheus, Premio Pulitzer nel 2006), Nolan rompe come di consueto ogni linearità d’azione e intreccia tre linee temporali nella vita del “padre della bomba atomica”: nel 1942 Robert Oppenheimer (Cillian Murphy nel ruolo della vita) è incaricato dal generale Leslie Groves (Matt Damon) di guidare il Progetto Manhattan per arrivare alla costruzione di una bomba a fissione nucleare prima della Germania nazista; nel 1954 la Commissione per l’Energia Atomica interroga Oppenheimer sulle sue passate frequentazioni con il partito comunista americano e sulla sua attuale ritrosia alla sperimentazione della bomba a idrogeno; infine, nel 1959, il segretario al commercio Lewis Strauss (Robert Downey jr.) viene ascoltato in varie audizioni del Senato americano sui suoi rapporti con Oppenheimer e su presunte manipolazioni di molte verità per meri fini personali (prima che ideologici). In queste tre linee temporali incontriamo decisivi personaggi storici (interpretati da un numero impressionante di divi, difficili anche da nominare in una singola recensione) che strutturano un mosaico stilisticamente e narrativamente troncato in due da un evento. O meglio, dall’Evento per antonomasia. La detonazione del primo ordigno nucleare della storia, il Trinity test del 16 luglio 1945 nel deserto di Los Alamos, esperimento che non solo cambierà il corso della Seconda guerra mondiale “ma cambia definitivamente il mondo” (come sintetizza il fisico danese Niels Bohr interpretato da Kenneth Branagh).
Ecco il perfetto algoritmo nolaniano: tre linee temporali orizzontali (la scienza, il potere, la redenzione) e due blocchi verticali (divisi dalla bomba come rivelazione di un nuovo ordine mondiale). Nella notevole prima parte del film Nolan concepisce ogni inquadratura come estensione dello sguardo di un geniale fisico-teorico che utilizza la sua conoscenza per disarticolare la materia (decisivo in tal senso l’utilizzo della pellicola 70mm IMAX) riportandola a pura radiazione elettromagnetica (quindi a particelle di luce) con effetti di polverizzazione del visibile. Del resto, il ventenne Oppenheimer di Cambridge definisce i suoi studi come una “attività astratta”. Ecco che le immagini di Nolan (come mai prima) si aprono improvvisamente a dimensioni altre del sensibile seguendo disinvoltamente le suggestioni di Picasso, Stravinskij, T.S. Eliot, in una prima mezz’ora concepita come una sorta di sinfonia visiva di madeleine proustiane che arrivano paradossalmente dal futuro e comunicano solo messaggi di morte (proprio come in Tenet, appunto): “adesso sono diventato morte, il distruttore di mondi”. Sin dalla prima inquadratura, pertanto, Robert Oppenheimer riflettere sull’avvento della meccanica quantistica come sguardo necessariamente complesso sul mondo.
[…] In questo senso va anche interpretato il tanto pubblicizzato “ritorno in sala”. Nolan non cerca un’esperienza tec-nostalgica (alla Tarantino) o un’utopia tecno-estetica (alla Cameron), bensì struttura una precisa strategia formale che ha bisogno dell’immersione in questo dispositivo analogico per dispiegare tutti i suoi orizzonti di senso. Ogni inquadratura di questo film esige di essere guardata su grande schermo ed esige uno spettatore capace di astrarsi totalmente dalle (piatta)forme interattive dei nuovi ambienti mediali. E poi, dopo Trinity, inizia un nuovo film. Con Robert Oppenheimer sempre più in bianco e nero, roso dal senso di colpa e in cerca di redenzione (“i fisici hanno conosciuto il peccato e da questa consapevolezza non potranno mai liberarsi”). E con gli equilibri narrativi sbilanciati verso il thriller politico sui fantasmi del maccartismo nel quale solo la moglie Kitty Puening e il ricordo amoroso di Jane Tatlock (interpretate rispettivamente da Emily Blunt e Florence Pugh, bravissime entrambe) riescono a preservare l’ultimo afflato umanista. Questa è la parte più tradizionalmente nolaniana, geometrica, fredda, che tende a costruire con pazienza un the prestige narrativo custodito sin dalle prime inquadrature dal mentore Einstein. Ci risiamo, certo. Ma questa volta il discorso filmico del regista-prestigiatore-demiurgo è un po’ meno ingombrante del solito, perché è la densità della materia narrata a garantire la nostra aderenza emotiva.
Concludendo, con i suoi pregi e difetti, Oppenheimer è un film importante per il XXI secolo (come sentenzia Paul Schrader) ed è probabilmente il film più riuscito di Christopher Nolan. Un film costruito su uno squilibrio narrativo e formale sin troppo pensato (e dialogato…) ma che sa cogliere in maniera lucidissima il perturbante balenare della bomba nella storia (e nelle storie) come rottura del tempo lineare e creazione di un nuovo cyberspazio. Nuovi colori, umori e formati dell’immagine che ridisegneranno i confini visibili del mondo tra orizzonti utopici e previsioni distopiche, fusioni fredde di estatica rivelazione e guerre fredde di lugubre manipolazione. Insomma, Cillian Murphy/Robert Oppenheimer chiude gli occhi e interroga urgentemente il nostro presente… per un film del 2023 non è certo una cosa da poco.
Pietro Mascuillo, Sentieri Selvaggi