01/03/2024 - 02/03/2024
Proiezione unica ore 21
VM 14 anni
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Regia: Stefano Sollima
Interpreti: Toni Servillo, Pierfrancesco Favino, Valerio Mastandrea, Adriano Giannini, Francesco Di Leva, Lorenzo Adorni, Silvia Salvatori
Origine: Italia
Anno: 2023
Soggetto:
Sceneggiatura: Stefano Sollima, Stefano Bises
Fotografia: Paolo Carnera
Musiche:
Montaggio:
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 127
Probabilmente Stefano Sollima è il più solido e consapevole dei cineasti italiani che stanno rinnovando la produzione nazionale. Questione di gusto, di sguardo: elementi che determinano la precisione e la forza cinematografica di un regista. Formatosi in televisione, ha una comprensione istintiva dei tempi e della mitologia (capacità probabilmente trasmessagli già dal venerabile Sergio, suo padre). Ciò che lo distingue dagli aspiranti e volenterosi che vorrebbero resuscitare il genere − qualunque cosa esso sia − è il suo approccio assolutamente non nostalgico: filma al presente indicativo. E, soprattutto, sa cogliere i segni del mondo intorno a lui. Che si guardino gli episodi delle serie televisive da lui diretti o i film per il cinema, emergono sempre i tratti di un’ispirazione profondamente realista sulla quale i suoi racconti prendono corpo. Adagio non è solo l’appendice di una grande saga criminale, ma probabilmente uno dei film più alti e intimi mai fatti su Roma. Sollima ridisegna le architetture urbane della città, muovendosi vertiginosamente fra interni di matrice sottoproletaria e il deflagrare di una città che ha raggiunto il punto d’implosione del suo piano regolatore generale. Pare invocare le Muse stesse sin dalla prima, potentissima inquadratura, con l’incendio che divora l’orizzonte e la notte senza mai avvicinarsi: un’inquadratura che toglie il fiato, come se Roma fosse la città di Blade Runner. Questo plusvalore mitopoietico regge tutte la storia di Adagio, film di Giganti e di Angeli caduti, come un romanzo kurosawiano nel quale tre re in disgrazia reclamano per un’ultima volta il regno terreno. La potenza del regista si esalta in ogni dettaglio: le Crocs di Mastandrea, i calzini alla caviglia di Servillo, i sandali di Favino, la lezione di cucina di Giannini ai figli. Come Leone, Sollima prende un mitologema (rimettere insieme la banda) e ne distilla ogni lacrima sino a che nella stazione Tiburtina – che vale almeno la Central Station di De Palma… non si compie il grande olocausto. Adagio è non solo l’ultimo poliziesco (noir) possibile in Italia ma anche una riflessione profondamente morale sull’interruzione della trasmissione della violenza. La città è lì il caos avanza, i morti di ieri, dimenticati, tornano a essere Titani, ma solo per un giorno, poi il silenzio. Sollima filma l’avanzare dell’età e la fragilità della vita con una commozione stupefacente, restando sempre al di qua dell’eccesso e dando prova di una sobrietà pudica ineccepibile. Ed è solo in questo contesto che la precisione con la quale il regista filma l’azione riverbera di una verità dolente, rispecchiando una fatica indicibile del continuare a essere corpo, ruolo e funzione. Che Sollima sia giunto a tale risultato, nell’arco di relativamente poco tempo, è davvero straordinario. E conferma che la parabola iniziata con ACAB − All Cops Are Bastards si è sviluppata organicamente dando vita a una vera e propria poetica d’autore. Stefano Sollima, oggi, incarna la forma più alta di cinema popolare d’autore, e questa non è né deve essere una contraddizione in termini.
Giona A. Nazzaro, FilmTV
[…] Non possiamo dire che oggi faccia da apripista a una nuova generazione di autori di genere sulla scena italiana perché ormai nomi e successi si moltiplicano in questo campo: basti guardare alla Milano noir di L’ultima notte di Amore per la regia di Andrea Di Stefano (vincitore del Premio Caligari al Noir in Festival), al vibrante esordio di Lyda Patituccci (Come pecore in mezzo ai lupi), all’atletica Matilde Gioli di Runner (regia firmata da un altro newcomer, Nicola Barnaba) e perfino ai collaudati Manetti Bros, che con Diabolik #3 firmano il capitolo più convincente della triologia. Ma Adagio segna comunque uno spartiacque come accadde con Claudio Caligari al tempo di L’odore della notte che nel 1998 rivelò Valerio Mastandrea e Marco Giallini. In entrambi i casi è una Roma diversa a fare da sfondo: una città dolente piena di rabbia e malinconia, desolata e intima.
Giorgio Grosetti, Ciak