
Juror No. 2
31/01/2025 - 01/02/2025
Proiezione unica ore 21
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Regia: Clint Eastwood
Interpreti: Nicholas Hoult - Justin Kemp, Toni Collette, Zoey Deutch, Kiefer Sutherland, Gabriel Basso, Leslie Bibb, Chris Messina, J.K. Simmons
Origine: Stati Uniti
Anno: 2024
Soggetto:
Sceneggiatura: Jonathan Abrams
Fotografia: Yves Bélanger
Musiche:
Montaggio:
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 114

Nessun segnale di stanchezza, nessun languore nostalgico, nessun puntiglio ideologico: scandito da un taglio registico classico, terso e conciso Giurato numero 2 del novantaquattrenne Clint Eastwood è un legal thriller che sprigiona un’estrema coerenza e tiene avvinti senza l’ausilio di trucchi ed effetti. Mentre l’ex alcolizzato Justin (Hoult) e sua moglie attendono con impazienza l’imminente arrivo del loro primo figlio, il futuro padre viene sorteggiato come membro della giuria nel processo contro un bravaccio pesantemente indiziato di avere prima picchiato e poi assassinato la compagna. A mano a mano, però, che le circostanze dell’omicidio vengono ricostruite e vagliate, Justin si ritrova alle prese con una situazione kafkiana… Se Eastwood traduce in suspense realistica una fantasia paranoica per eccellenza, lo fa per declinare ancora una volta una tematica fondamentale del proprio cinema: la necessità di autodifendersi o, più precisamente, di trasgredire la legge per compensare i fallimenti delle istituzioni. Da qui nasce la drammatica spirale in cui Justin, anche se non vorrebbe avallare una tragica ingiustizia, non è disposto a farlo a caro prezzo… Il film ha la forza e la classe di non servirsi delle categorie in cui s’imprigionano abitualmente i personaggi: al posto del giochino buoni/cattivi, infatti, mette in piena luce l’istinto del comune cittadino che non sarebbe ostile all’idea e la pratica della giustizia, ma è pronto a mitigarle, modificarle o ribaltarle nel caso vada in crisi il suo rapporto con la società, la legge e la verità stessa. È vero che Eastwood riprende i dilemmi tramandati da alcuni cult-movie, primo fra tutti La parola ai giurati di Lumet, ma la sua messinscena coglie con maggiore finezza le contraddizioni del comportamento umano, sfiorando addirittura alla sua maniera ruvida e spontanea certi risvolti dell’universo metafisico dostoevskiano. L’autore è convinto che il Male esista a prescindere dalle contingenze e non ha dunque bisogno di un protagonista puro e onesto alla Henry Fonda, bensì di un individuo fragile e spiacevole, un piccolo Raskolnikov che si strugge per trovare una qualsiasi via d’uscita.
Valerio Caprara – Il Mattino
Ecco, Eastwood in carriera di processuali ne ha lambiti parecchi, anche quelli “nascosti” come Fino a prova contraria, Changeling o Mezzanotte nel giardino del bene e del male. Ma stavolta, più che all’immancabile Lumet, Giurato Numero 2 assomiglia in maniera quasi paradossale all’ultimo Trap di M. Night Shyamalan, nell’ottica in cui tratteggia un protagonista, il Justin di Nicholas Hoult, che sin da subito è il nostro conduttore falsato dentro la vicenda del film, e ogni elemento dell’immagine, la luce e l’ombra, sembra mutare seguendo le stesse oscillazioni con cui si rincorrono in noi le opinioni sul personaggio: Eastwood moltiplica gli “sdoppiamenti”, i ravvedimenti e i voltafaccia non solo in Justin ma nel procuratore distrettuale di Toni Collette, nel giurato-detective di JK Simmons (che personaggio incredibile, il poliziotto in pensione diventato fioraio insieme alla moglie mai in scena ma sempre interpellata, come la moglie di Colombo…), nella consorte del protagonista… in fin dei conti, più che il verdetto di colpevolezza o innocenza dell’imputato, qui – come sempre in Eastwood – importa capire se fidarsi o meno del nostro eroe (costantemente dipinto come premuroso, generoso, altruista, attento al prossimo), della promessa che ha fatto alla sua famiglia e a se stesso, se abbia tentennato o meno davanti a quel drink (tutti i flashback del film non sono mai chiarificatori né risolutivi). La responsabilità del singolo nei confronti del sistema tutto e del suo nucleo familiare, il peso della verità e l’impossibilità di stabilirne una versione univoca e universale, il destino che ci mette di fronte alle scelte più abissali: a 94 anni Eastwood gira un compendio della filosofia che ha innervato le sue parabole per 50 anni, un apologo in realtà molto meno “innocuo” di quanto possa lasciar pensare l’andatura compassata dell’opera – in questa galleria di ritratti di variopinta umanità di provincia e pregiudizi connessi, il peccato peggiore di tutti resta comunque quello della neutralità, dell’imparzialità, dell’indifferenza.
Sergio Sozzo – Sentieriselvaggi.it