C’è ancora domani


07/04/2024

Ore 21. Proiezione aperta a soci e non soci del Circolo

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Regia: Paola Cortellesi
Interpreti: Paola Cortellesi - Delia, Valerio Mastandrea - Ivano, Romana Maggiora Vergano - Marcella, Emanuela Fanelli - Marisa, Giorgio Colangeli - Sor Ottorino, Francesco Centorame - Giulio, Vinicio Marchioni
Origine: Italia
Anno: 2023
Soggetto:
Sceneggiatura: Paola Cortellesi, Furio Andreotti, Giulia Calenda
Fotografia: Davide Leone
Musiche:
Montaggio: Valentina Mariani
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 118


C’è ancora domani, esordio nella regia di Paola Cortellesi, è un viaggio nel tempo con biglietto di andata e ritorno. La storia ci porta nel 1946, a Roma: la guerra è finita, la città è libera da due anni ma nelle strade c’è ancora la “military police” americana e nelle case c’è tanta povertà e, soprattutto, tanto fascismo sepolto, magari inconscio. Delia è una donna sposata, vive con il marito Ivano, il suocero e tre figli. Sia il consorte, sia il suocero sono maschi tossici e orrendi, che ragionano solo con la violenza. Tutt’intorno c’è chi si è arricchito con la borsa nera e chi continua a far la fame come ai tempi dell’occupazione tedesca. Ma il futuro — il “domani” del titolo — promette una cosa bellissima: il 2 giugno, al referendum monarchia vs. repubblica, voteranno per la prima volta le donne. Delia e tutte le sue amiche del quartiere non vedono l’ora… Il viaggio nel tempo si nasconde anche nello stile: C’è ancora domani è in bianco e nero (fotografia di Davide Leone) e rende omaggio ai capolavori del neorealismo; sì, anche a quelli del cosiddetto “neorealismo rosa” (da L’onorevole Angelina a Pane amore e fantasia) perché Paola Cortellesi tiene miracolosamente in equilibrio lacrime e risate, dramma e commedia. Ma poi c’è il ritorno all’oggi, i temi della violenza domestica, dell’emancipazione femminile e delle differenze di classe che sono cruciali oggi come nel 1946. Film quasi miracoloso, grazie anche alle interpretazioni — oltre che della regista-protagonista — di Valerio Mastandrea, Giorgio Colangeli, Emanuela Fanelli e tutto il resto di un cast perfettamente scelto e diretto.
Alberto Crespi, la Repubblica

Diciamolo subito: il debutto alla regia di Paola Cortellesi è decisamente notevole. C’è ancora domani, che ha inaugurato ieri in concorso la Festa del cinema di Roma, è un film che sorprende: per la scelta del soggetto, innanzitutto (la vita quotidiana di una popolana nella Roma del 1946), per l’originalità del tono, capace di passare dal dramma alla farsa e viceversa senza alcun stridore, ma soprattutto per le scelte di regia che cercano di trovare un equilibrio non scontato tra una chiave realistica e una più esemplare e didascalica.
Certo, ci sono alcune ingenuità, alcune soluzioni stridono ma sono in qualche modo conseguenza dell’ambizione e dell’originalità messe in campo. Proseguimento del suo lavoro di sceneggiatrice, la scelta della regia «è arrivata in modo naturale, come una specie di inevitabile crescita» spiega Paola Cortellesi, nata dalla «voglia di raccontare le storie delle donne che hanno vissuto l’immediato dopoguerra, quelle che non vengono mai ricordate, specie di povere Cenerentole che nessuno si incarica di celebrare anche se hanno costruito il tessuto sociale del nostro Paese, come sono state — ci tiene a sottolineare — mia bisnonna e mia nonna».
Nasce lì, da quei ricordi e quei racconti il personaggio di Delia (interpretato dalla stessa Cortellesi), cui il marito augura la buona giornata con uno schiaffone e che non smette per tutto il giorno di occuparsi dei figli, della casa, del suocero, dividendosi tra mille lavori e lavoretti per contribuire anche al bilancio familiare, «una donna come tante — dice ancora —, di quelle che hanno accettato una vita di prevaricazioni senza mai farsi domande, perché così doveva essere, convinte di non poter avere altro futuro che non quello di abbassare la testa e accettare tutto in silenzio».
Anche quando si trattava di violenza e di maltrattamenti. Poteva nascerne un melodramma strappalacrime, ma la sceneggiatura della regista con Furio Andreotti e Giulia Calenda sceglie invece un approccio più insolito, dove i toni si mescolano: si sorride per le piccole beghe di cortile, per la sboccata vivacità dei due figli più piccoli, persino per l’ottuso egoismo del suocero (Giorgio Colangeli); si parteggia per il timido meccanico Nino (Vinicio Marchionni) che forse potrebbe aiutare Delia a cambiare vita o per Marisa (Emanuela Fanelli), fruttarola cui è toccato un marito invidiabile; oppure si freme per la coriacea insensibilità del marito Ivano (Valerio Mastandrea), capace solo di ragionare con la violenza e la sopraffazione. Che il film però non mostra mai nel suo crudo realismo.
[…] A cambiare un destino che sembra scritto nella pietra e che il bianco e nero di Davide Leoni tiene a metà tra i ricordi di un passato cinematografico e un presente di dolorose umiliazioni, arriveranno la speranza di matrimonio per la figlia Marcella (Romana Maggiora Vergano) e una misteriosa lettera sul cui contenuto lo spettatore eserciterà le proprie fantasie, ma il cui autentico significato verrà svelato solo nelle ultimissime scene. Non tanto per regalare un possibile colpo di scena al film ma per allargare il discorso di Delia e delle altre donne verso una dimensione non più solo individuale ma finalmente collettiva e sociale.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera