The Holdovers – Lezioni di vita

The Holdovers


12/04/2024 - 13/04/2024

Proiezione unica ore 21

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Regia: Alexander Payne
Interpreti: Paul Giamatti - Paul Hunham, Dominic Sessa - Angus, Da'Vine Joy Randolph - Mary, Carrie Preston - Lydia Crane, Tate Donovan - Stanley, Gillian Vigman - Judy
Origine: Stati Uniti
Anno: 2023
Soggetto:
Sceneggiatura: David Hemingson
Fotografia: Eigil Bryld
Musiche: Mark Orton
Montaggio: Kevin Tent
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 133


La scuola è magnifica, i ragazzi viziati, il professore (Paul Giamatti) un misantropo strabico o forse guercio che sibila insulti mentre corregge i temi di quei rampolli upper class e li carica di compiti anche per le vacanze. Senza sapere che dopo quel Natale 197O nulla sarà come prima. Né per lui, né per l’unico studente rimasto a passare le feste in quel pomposo istituto del New England (Dominic Sessa, esordiente rivelazione), né per la corpulenta cuoca che unisce alle loro solitudini la sua (Da’Vine Joy Randolph). In un percorso di progressivo avvicinamento e reciproco arricchimento. Riassunto così The Holdovers, titolo originale di può sembrare un concentrato di cliché. Invece è uno dei più bei fìlm Usa visti di recente, un omaggio grondante di affetto alla New Holliwood anni ‘70, con un occhio di riguardo per Hal Ashby e L’ultima corvée, di cui riprende la struttura. Nonché un esempio raro di sguardo adulto in un cinema sempre più formattato e infantilizzato. Chi ricorda Sideways sa che l’accoppiata Giamatti/Payne fa scintille. Nessuno meglio di questo regista di origini greche, classe 1961, sa infatti unire il riso e la commozione, il comico e il triviale, l’infimo e l’epocale. Non a caso l’autore di Nebraska, A proposito di Schmid e Paradiso amaro è tra i pochissimi a cui è concesso il final cut, ovvero il controllo sul montaggio. E anche The Holdovers, col suo taglio classico e il suo impagabile gusto dei dettagli, non perde un colpo. Anche perché Payne, sorretto dall’oliatissima sceneggiatura di David Hemingson (al primo film dopo 30 anni di serie tv), scopre le carte poco alla volta. Dando alle miserie, alle bellezze, alle goffaggini e ai segreti dei suoi protagonisti una luce di verità in ogni occasione, anche minima: come facevano i suoi predecessori anni ‘70 con i loro personaggi. Piccoli grandi uomini, come il protagonista del film di Arthur Penn che Giamatti e Sessa vanno a vedere in una scena decisiva. Il mix inconfondibile di affetto e crudeltà in cui consisteva il “Payne touch” si è forse addolcito col tempo. Ma non è detto sia un male!
Fabio Ferzetti, L’Espresso

Al di là della polisemia del titolo del suo ultimo film (che può indicare chi prolunga il suo mandato, chi avanza o anche i ripetenti), il cinema di Alexander Payne ha sempre avuto il suo fulcro in personaggi residuali, fin dai tempi di Citizen Ruth, il suo esordio nel lungometraggio nel 1996. Una lunga e ricca galleria di esclusi e più o meno allegri sconfitti che si arricchisce del terzetto protagonista di The Holdovers – Lezioni di vita, un magnifico distillato di perdenti, loro malgrado, ritrovatisi completamente soli nelle vacanze di Natale all’interno di un prestigioso liceo americano. Chi perché dimenticato dalla famiglia (lo studente Angus Tully, la cui madre va in luna di miele con il nuovo marito), chi perché ha perso un figlio in Vietnam (la responsabile della cucina della scuola, Mary), chi perché non ha niente di meglio da fare (il professor Paul Hunham, single, odiato dai suoi studenti e sottovalutato dal corpo docenti, interpretato da un bizzarro e divertente Paul Giamatti). Una serie di mancanze che s’intrecciano e si autoalimentano, con la famiglia, tema ricorrente nella filmografia di Payne, a fare da sfondo con le sue varie ed eventuali disfunzionalità.
[…] Payne, di fatto, realizza un film ambientato nel 1970 con la deliberata volontà di ricreare lo stile della New Hollywood. Non si tratta tanto di replicare un mood, a cui contribuiscono con la consueta facilità i costumi, le acconciature e un paio di canzoni ben assestate (per esempio la solita The Wind di Cat Stevens, ormai quasi un inno nelle sequenze riflessive contestualizzate nei 70s, e la molto più rara In Memory of Elizabeth Reed dei fantastici fratelli Allman), quanto di assumere una vera e propria estetica rétro. Il taglio delle inquadrature, i colori pastosi, una zoomata vertiginosa all’indietro su Paul Giamatti alla disperata ricerca del suo allievo Angus che pare presa di peso da Il laureato di Mike Nichols, addirittura la grafica dei titoli di coda, oltre ad alcune sensazioni di déjà-vu nei rapporti, nella poetica e nelle situazioni (Ashby, Penn e Forman per tenersi stretti), più che la dimostrazione di una filiazione spontanea, rappresentano un abbandono lirico nel cinema che fu che esclude qualsiasi ipotesi metaforica su un’America del presente. Come suggerisce Paul Giamatti al termine del film, rivelando all’allievo quale dei suoi due occhi sbilenchi sia quello dritto, esiste una sola prospettiva corretta ed è quella di un racconto sui buoni sentimenti natalizi e sulla solidarietà che nasce dalla sofferenza. In quest’ottica e giunto a questo punto della sua vita, Payne probabilmente realizza il suo film più personale da molti anni a questa parte.
Giampiero Frasca, cinematografo.it