03/12/2021 - 04/12/2021
Proiezione unica ore 21
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Regia: Gabriele Mainetti
Interpreti: Claudio Santamaria - Fulvio, Aurora Giovinazzo - Matilde, Pietro Castellitto - Cencio, Giancarlo Martini - Mario, Giorgio Tirabassi - Israel, Max Mazzotta - Il Gobbo, Franz Rogowski - Franz
Origine: Belgio, Italia
Anno: 2021
Soggetto: Nicola Guaglianone
Sceneggiatura: Nicola Guaglianone, Gabriele Mainetti
Fotografia: Michele D'Attanasio
Musiche: Michele Braga, Gabriele Mainetti
Montaggio: Francesco di Stefano
Produzione: Goon Films
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 141
In qualche modo, la storia si ripete. C’è voluto tempo prima che si comprendesse che Sergio Leone non era solo quello che “copiava” Kurosawa o uccideva il western (come sostiene Wenders in Emotion Pictures). Chissà quanto tempo ci vorrà affinché si comprenda che Mainetti è l’ultimo discendente, in ordine cronologico, di un cinema italiano trasversale, d’autore, personale e schiettamente popolare, che ha avuto proprio in Leone prima e Dario Argento poi le sue formulazioni più alte. Un cinema ambizioso, profondamente italiano, che, in tempi recenti, solo Carlo S. Hintermann con Book of Vision ha portato avanti in forme altrettanto convincenti. Mainetti con Freaks Out rilancia tutte le potenzialità del suo esordio Lo chiamavano Jeeg Robot, che in qualche modo sembrava la mutazione ultima delle intuizioni di Tamburini e Liberatore rielaborate alla luce delle origin story della Marvel e del fantasma di Pasolini. Freaks Out allarga il suo raggio d’azione al momento fondativo del cinema italiano: la liberazione di Roma e dell’Italia dalla morsa del nazifascismo. Fra rastrellamenti ed esecuzioni sommarie, un gruppo di freak deve decidere se provare a fuggire o unirsi al circo nazista che notte dopo notte celebra la caduta degli dèi sotto un tendone dove nessuno è perplesso. Mainetti pensa in forme di cinema. E non si tratta di citazionismo! Sulla traccia della sceneggiatura di Guaglianone (che rielabora un lutto profondo dello scrittore), è come se il regista mettesse mano a un ipotetico “anno zero” del cinema italiano. La sua fiducia assolutistica nella capacità di affabulazione, di creare immagini e inventare mondi alternativi è commovente. Affidando a Franz Rogowski, l’attore più geniale attualmente in circolazione, il ruolo del villain dimostra una consapevolezza straordinaria delle possibilità di creare un racconto travolgente e complesso al tempo stesso. Mainetti avrebbe potuto giocare di rendita, e invece ha rilanciato con tutto quel che aveva, permettendoci così di sospettare, ancora una volta, che il Mainetti-cinema sia solo agli inizi. La sfida che Freaks Out porta non solo al cinema italiano, ma a tutto il sistema europeo, è profonda. Si tratta di ripensare categorie, modalità di produzioni e investimenti. Di rilanciare un cinema schiettamente italiano, in grado di pensarsi europeo dalle ambizioni internazionali. Non si tratta solo di misurare con il contagocce quanto dei Fantastici 4 e degli X-Men (o dei Nuovi mutanti) è finito nella sceneggiatura di Guaglianone, ma cosa un film simile offre concretamente come indicazioni industriali. Probabilmente Freaks Out è la formulazione più audace possibile di un cinema d’autore intimo, italiano ed europeo. L’indicazione più concreta di come il nostro sistema cinema possa dialogare con le generazioni cresciute dopo la fine del cinema, e non solo. In Mainetti, davvero, sembra di percepire l’ambizione di Pastrone, la passione di Leone, il delirio di Argento e l’eleganza di Bertolucci. Freaks Out è l’avanguardia di un cinema che ancora non esiste, ma che sogniamo e desideriamo con tutta la convinzione possibile. Il cinema ha bisogno di sognatori come Mainetti.
Giona A. Nazzaro, FilmTv
È sotto la luce che c’è la magia, la tragedia, la trasformazione. La stessa che illumina lo schermo. Freaks Out potrebbe essere il mascherato ‘film nel film’,che scorre per circa 140 minuti come un tendone ambulante del cinema lunghissimo e infinito. Dentro c’è il circo, la guerra, l’occupazione tedesca, i cinecomics, i mostri degli horror di inizio anni ’30. Dopo la trasformazione sul Tevere di Enzo Ceccotti in Lo chiamavano Jeeg Robot, il cinema di Gabriele Mainetti alza l’asticella delle proprie ambizioni e firma un fantasy bellico che condensa tutto il suo cinema e le sue aspirazioni. I superpoteri stavolta li hanno i quattro protagonisti di Freaks Out. Mario, interpretato da Santamaria, è una possibile reincarnazione del protagonista del film precedente del regista. Ha il corpo ricoperto di peli ma anche una grande forza. Matilde (Giovinazzo) ha l’elettricità come principale arma di difesa. Il nano Mario (Martini) è l’uomo-calamita. Cencio (Castellitto) infine muove gli insetti e li illumina a suo piacimento. Sono i componenti del circo di Israel (Tirabassi) e si stanno esibendo in uno spettacolo dove stanno tirando fuori il loro repertorio migliore. Ma la magia però finisce. Ci sono gli aerei e le esplosioni dei bombardamenti. Il gruppo sogna di fuggire in America ma Isreael sparisce con tutti i soldi. È scappato o è stato catturato? I quattro personaggi restano così soli a Roma che è occupata dai nazisti e dove si trova il ZirkusBerlin, un’attrazione diabolica gestita dalla follia del pianista Franz (Franz Rogowski) che non vede futuro per il Terzo Reich. […] Con Lo chiamavano Jeeg Robot Mainetti aveva indicato una delle possibile nuove strade per il cinema italiano. Con Freaks Out, dove con lo sguardo in macchina di Tirabassi all’inizio del film si entra in uno spettacolo dai contorni sinistri ma anche accecante, le moltiplica anche con i tutti suoi difetti. Ma è un cinema di una generosità totale ed eccede perché dà tutto se stesso.
Simone Emiliani, Sentieri Selvaggi