Sing street


13/01/2017 - 14/01/2017

Proiezione unica ore 21

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Regia: John Carney
Interpreti: Ferdia Walsh-Peelo (Conor), Lucy Boynton (Raphina), Jack Reynor (Brendan), Maria Doyle Kennedy (Penny), Aidan Gillen (Robert)
Origine: Irlanda
Anno: 2016
Soggetto: John Carney, Simon Carmody
Sceneggiatura: John Carney
Fotografia: Yaron Orbach
Musiche: Gay Clark, John Carney
Montaggio: Andrew Marcus, Julian Ulrichs
Produzione: Anthony Bergman, Martina Niland, John Carney per Likely Story, Filmwave, Distressed Films, Cosmo Films
Distribuzione: BIM
Durata: 105


Dublino, 1985. Una coppia si scambia i tipici insulti delle crisi coniugali. Nella stanza accanto un ragazzino, l’ultimo dei loro tre figli, ascolta quelle urla mentre strimpella alla chitarra e coglie al volo una frase minacciosa facendone il verso di una canzone. Ma non è cinismo o incoscienza, e nemmeno una forma di fuga per autodifesa. È più semplicemente, forse più inaspettatamente, talento.

Un talento che per ora è solo una promessa ma che il resto del film vedrà lentamente crescere e fiorire. Passando attraverso una serie di prove tipiche dell’adolescenza, complicate dall’epoca e da un paese in cui divorziare è proibito (lo sarà fino al 1996), le scuole pubbliche sono tenute saldamente in pugno dai preti (“pugno” è la parola giusta), l’Inghilterra è un sogno irraggiungibile. E la musica pop una delle possibili armi, non la più semplice, con cui un ragazzo dotato può forgiarsi un futuro.

A otto anni dal delizioso Once, dopo diversi altri titoli e una deviazione meno felice negli Stati Uniti con il dolciastro Tutto può cambiare, l’irlandese John Carney, regista e musicista (è stato per anni il bassista dei Frames), torna alla sua forma migliore con un film, Sing Street, che attinge a piene mani ai suoi ricordi personali. Non senza rileggerli col senno di poi, facendo delle avventure del quindicenne Conor, arietta fragile ma determinazione a prova di bomba, una specie di precipitato ideale di tutto ciò che chiunque di noi ha vissuto, o meglio avrebbe voluto vivere a quell’età.

Attenzione però: Carney non fa sconti a nessuno, tantomeno imbelletta il passato. In compenso regala al suo protagonista/alter ego una consapevolezza, una fiducia in se stesso e una capacità di assorbire i colpi piuttosto rare alla sua età. Anche se ha l’intelligenza, e l’eleganza, di svelare il trucco. Dietro i successi personali e musicali di Conor (perfetto Ferdia Walsh-Peelo, anche lui musicista prima che attore) ci sono infatti i rumorosi fallimenti del fratello maggiore Brendan (l’astro nascente Jack Reynor). Un bestione che passa le giornate sbracato sul divano a farsi le canne, gongolando davanti all’avvento dei videoclip e grugnendo quando il padre passatista rimpiange i Beatles. Ma a forza di rimuginare sui suoi fiaschi, e di osservare quei genitori in crisi («si sono sposati troppo giovani e solo per fare sesso, capisci?»), è diventato un incrocio fra uno psicologo (con poster di Freud in camera) e un narratore onnisciente. Che legge nel cuore degli altri e sa sempre cosa suggerire, con discrezione, perché almeno il fratello minore riesca a fuggire da quell’isola e metta a frutto il suo talento.

Così il vulnerabile Conor imparerà a tenere a bada i bulli e forse addirittura a redimerli, in certo modo. Metterà su un’improbabile quanto irresistibile band di ragazzini con i brufoli e la macchinetta ai denti. Soprattutto capirà come niente meglio di una canzone arriva al cuore delle ragazze (grazie tante si dirà, dietro le canzoni del suo gruppo ci sono lo stesso Carney e un grande cantautore come Gary Clark, il problema semmai era farle eseguire “male”, come se a suonare fosse davvero un branco di ragazzini inesperti).

Ma proprio per questo non è necessario essere cresciuti con i Duran Duran, i Cure o gli Spandau Ballet per immergersi in questa fiaba realistica e qua e là fin troppo scritta, come capita ai film anglosassoni, ma piena di grazia e ottimismo.

(Fabio Ferzetti – Il Messaggero)

 

Conosciuto per due operine assai amabili, Once e Tutto può cambiare, l’irlandese John Carney torna con un film che dovrebbe costituire materia obbligatoria d’insegnamento in tutte le scuole di cinema, alla voce “commedia sentimentale”. Nella Dublino degli anni Ottanta il quindicenne Conor, infelice in famiglia e a scuola, forma una band per impressionare la misteriosa Raphina, la ragazza più carina del quartiere. Ammiratore dei Duran Duran, dovrà elaborare un proprio stile musicale “newromantic” cui affidare le parole d’amore per la bella, dolcemente complicata e già impegnata con uno più grande. Come nei due film citati, Sing Street fa della musica un personaggio altrettanto importante di quelli in carne e ossa: le scene musicali, in altre parole, non costituiscono intermezzi ma parti dell’azione. Non solo la colonna musicale è magistrale; il film si distingue anche per l’ambientazione dublinese e fa affiorare poco a poco, sotto lo strato del racconto di formazione per teenager, una generosa dose di poesia.

(Roberto Nepoti – La Repubblica)