Vogliamo vivere!


13/12/2013 - 14/12/2013

Proiezione unica ore 21

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Che cos’è un capolavoro al cinema? Può essere un film che ci insegna a guardare in modo nuovo (come Roma città aperta o Rashomon), che rinnova i linguaggi (come Il vento o Fino all’ultimo respiro o La dolce vita) oppure ancora che sfrutta come meglio non si potrebbe le possibilità spettacolari offerte dal mezzo (come Via col vento o 2001 Odissea nello spazio o Un dollaro d’onore o Blade Runner). E poi ci sono i film di Lubitsch, che non rivoluzionano il cinema, non sovvertono le regole né fanno sfoggio di gigantismo, ma sono, semplicemente, perfetti. Senza sbavature, senza cadute di tono o di gusto, senza prosopopea ma con una misura che coincide con la perfezione e soprattutto con il totale appagamento dell’intelligenza e del piacere (che in Lubitsch, non dimentichiamolo, vanno sempre di pari passo). E To be or not to be, il film che Lubitsch girò nel 1942, è un capolavoro (non solo del regista ma della storia del cinema tout court). In Italia uscì subito dopo la guerra col titolo “retorico e melodrammatico” di Vogliamo vivere! e impiegò qualche decennio per essere apprezzato nel suo valore. Poi, dopo essere diventato uno dei titoli di punta della stagione dei cineclub, è praticamente sparito e neanche in dvd si trova più. Questo weekend esce nelle sale, grazie alla lungimiranza (e al coraggio) di una piccola casa di distribuzione, la Teodora, che lo presenta come dovrebbe succedere per tutti i capolavori: perfettamente restaurato, in edizione originale con i sottotitoli. Scommettendo sul fatto che anche l’Italia sia un Paese colto e adulto…
Il film racconta le disavventure della compagnia teatrale di Joseph e Maria Tura (lui è Jack Benny, lei Carole Lombard) che nella Varsavia dell’estate 1939 stanno recitando Amleto e preparando Gestapo. L’invasione tedesca del 1° settembre impedisce la messa in scena del secondo testo ma coinvolge tutta la compagnia nella lotta antinazista, soprattutto quando il giovane ufficiale Sobinski (Robert Stack) torna in patria dall’Inghilterra, dov’era fuggito, per smascherare il professor Siletsky (Stanley Ridges), finto partigiano e invece vera spia dei tedeschi. Dando inizio a una serie di disavventure che perderebbero forza a essere raccontate solo a parole. Perché la grande genialità di Lubitsch (e qui del suo cosceneggiatore Edwin J. Mayer) non è solo quella di creare delle gag che scatenino la risata (una per tutte: durante le prove della pièce Gestapo, l’ingresso del Führer in scena è salutato da una serie di «Heil Hitler», ai quali Hitler risponde imperturbabile: «Heil per me») ma di costruire una serie di legami e rimandi tra le scene che accendono l’attenzione dello spettatore per poi soddisfarla quando meno te l’aspetti (come la lamentela di una delle comparse, costretta a portare solo un’alabarda quando si sente perfetto per recitare il monologo di Shylock dal Mercante di Venezia. Vedrete al cinema quando avrà finalmente la sua grande occasione…). Non c’è mai niente di inutile nelle sceneggiature e nelle inquadrature di Lubitsch. Tutto ha senso e tutto ha una sua palese o nascosta necessità. Persino la situazione, già comica di suo, dell’ufficiale polacco che per corteggiare Maria Tura si alza e esce dal teatro ogni volta che il marito attacca il «To be or not to be» (da cui il titolo del film), disturbando tutti gli spettatori della sua fila e distruggendo l’amor proprio del prim’attore Joseph, che naturalmente legge quell’uscita come una critica alla sua recitazione… Persino quella scena troverà una sua corrispondenza quando meno te lo aspetti. «Bisogna sentire se suonano le campane» diceva Lubitsch ai suoi collaboratori per spiegare che ogni gag, ogni scena, deve risuonare alla perfezione, senza stonature. E in questo film non c’è una sola nota o una sola battuta che suoni falsa. Nemmeno quella del colonnello nazista Erhardt (Sig Ruman) che nel ’42 sembrava di dubbio gusto e oggi è entrata nelle antologie: interrogato sull’attore Joseph Tura, rispondeva «O sì, ricordo, l’ho visto una sera: faceva a Shakespeare quello che noi facciamo alla Polonia». E non ci addentriamo nei rimandi continui che il film fa al mestiere dell’attore, al bisogno/necessità di trasformarsi in persone diverse, al tema del teatro e della messa in scena dove lo spettatore è chiamato ad assecondare i camuffamenti degli uni ai danni degli altri, finendo così per far parte del gioco delle finzioni quasi senza saperlo. Né entriamo nel labirinto di specchi dietro cui si nasconde il tema del proprio dovere dove attori, soldati, resistenti e persino nazisti sono chiamati continuamente a confrontarsi con quello che devono o non devono fare… Diceva Billy Wilder, che del regista fu sceneggiatore e che teneva nello studio un cartello con scritto “Che cosa direbbe Lubitsch?” per ricordarsi di non accontentarsi dei compromessi e cercare sempre il meglio, diceva appunto Wilder che «nessuno è perfetto». Ma forse per Lubitsch anche lui avrebbe fatto un’eccezione.
(Paolo Mereghetti – Il Corriere della Sera)

Titolo originale:
To Be or Not to Be
IMDB:
Regia:
Ernst Lubitsch
Cast:
Jack Benny
Carole Lombard
Sceneggiatura:
Edwin J. Mayer
Durata:
99
Origine:
Stati Uniti d’America
Produzione:
Romaine Film Corporation
Distribuzione:
Teodora Film
Enic