Viviane


06/02/2015 - 07/02/2015

Proiezione unica ore 21

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Emana un fascino maturo, austero e malinconico Viviane, che ha sposato troppo giovane il rigido Elisha, ebreo di osservanza ortodossa, e ora aspira a riavere la sua libertà. Ma in Israele, il divorzio (al pari del matrimonio) è regolato dal diritto religioso. Solo il marito ha il potere di sciogliere il legame, consegnando pubblicamente alla moglie il documento firmato e dicendo: «Sei permessa a tutti gli uomini». Finché ciò non accade, a una donna che abbandoni il tetto coniugale sono preclusi rispetto e vita sociale. Poiché Elisha è fermo nel rifiuto di concederle il divorzio, Viviane fa appello al tribunale rabbinico. Ma la Corte simpatizza con lui che boicotta e rinvia o si presenta inflessibile a ribadire la sua posizione. Ultimo capitolo di una trilogia scritta e diretta con il fratello Schlomi dall’attrice Roni Elkabetz (Viviane), il film si svolge dentro un’aula giudiziaria, scandito in scene introdotte da sottotitoli che indicano lo scorrere del tempo fra un’udienza e l’altra su una durata conclusiva di cinque anni. Tuttavia, nonostante la struttura teatrale, coinvolge e intriga come un thriller: vuoi perché, in un’alternanza di registro comico e drammatico, i dialoghi sono abilmente giocati su un ambiguo intreccio di verità contrastanti; vuoi perché i personaggi (avvocati, giudici, parenti e amici chiamati a testimoniare) sono ben ritagliati; vuoi perché la macchina da presa si sposta sul filo degli sguardi creando uno sfaccettato sottotesto di puro cinema. Al centro un memorabile ritratto di donna trasparente, forte, determinata; sullo sfondo un paese moderno che cela una mentalità arcaica. È il film che rappresenta Israele all’Oscar: una scelta davvero illuminata.

(Alessandra Levantesi Kezich – La Stampa)

 

La parola “gett”, dal titolo originale di Viviane, indica un diritto di cui ogni donna israeliana viene privata al momento di unirsi in matrimonio: il diritto al divorzio. In un sistema che prevede unicamente l’unione religiosa, la donna può infatti ottenere solo dal marito, e di fronte a un tribunale di rabbini, la possibilità di abbandonare il domicilio coniugale. Viviane sta racchiuso in questa cornice legale e culturale: prende una stanza di tribunale, un gruppo di personaggi – una donna, Viviane, decisa a divorziare, un marito che non ne vuole sapere, tre giudici religiosi, due avvocati e una serie di testimoni – e costruisce un dramma tragico e insieme comico. Shlomi e Ronit Elkabetz, quest’ultima anche attrice nei panni della protagonista, giocano con l’assurdità della situazione, tra il diritto alla felicità della donna e l’ottusità del marito che nega il divorzio. Insistono quindi sull’esasperazione dei personaggi, sulla rigidità dell’ortodossia, sulla ripetizione delle sedute, ed elaborano uno stile che trasmette l’idea di trappola e di immobilità, tra il Kammerspiel e il cinema muto, Brecht e Dreyer, primi piani, totali e particolari su mani e piedi. La rabbia e l’ingiustizia sono tutte nelle parole e negli sguardi dei personaggi, mentre il cinema non può far altro che guardare impotente – e pure un po’ divertito – lo spettacolo senza tempo dello scontro fra legge e individuo, fede e società civile, regole e buon senso.

(FilmTv)

Titolo originale:

Gett le procés de Viviane Amsalem

Regia:

Ronit Elkabetz, Shlomi Elkabetz;

Interpreti:

Ronit Elkabetz (Viviane), Menashe Noy (Carmel), Simon Abkarian (Elisha), Sasson Gabai (Shimon), Eli Gornstein (Capo Rabbino), Gabi Amrani (Impiegato), Rami Danon, Roberto Pollak, Dalla Begger (Donna), Albert Illuz (Meir);

Origine:

Israele, Francia, Germania;

Anno:

2014;

Soggetto e sceneggiatura:

Ronit Elkabetz, Shlomi Elkabetz;

Fotografia:

Jeanne Lapoirie;

Montaggio:

Joel Alexis;

Produzione:

Shlomi Elkabetz per Elzevir & CIE, Riva Film-produktion, D&G Films;

Distribuzione:

Parthénos (2014);

Durata:

115’