Un padre, una figlia


28/10/2016 - 29/10/2016

Proiezione unica ore 21

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«Etica e estetica sono tutt’uno» diceva Ludwig Wittgenstein. E Philippe Sollers aggiungeva «l’etica è l’estetica dell’avvenire». Se a tutt’oggi la profezia pare lontana dal realizzarsi, a volte arriva un film che ne riafferma la validità. Come Un padre, una figlia del romeno Cristian Mungiu, nove anni fa vincitore della Palma d’oro con 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni e premio alla regia all’ultima Cannes per questo nuovo film: coinvolgente, rigoroso, perfettamente padroneggiato dalla prima all’ultima scena. Su un conflitto etico poggia l’intero dispositivo drammatico, a prima vista semplice. Il medico Romeo ha puntato tutto sull’avvenire della figlia Eliza, che vorrebbe mandare a studiare in Inghilterra per sottrarla alla Romania odierna, dove le speranze di rigenerazione del dopo-Ceausescu sono affondate in una limacciosa palude di corruzione e miseria morale. Eliza è un’ottima studentessa; ma un’aggressione sessuale la mette in crisi alla vigilia dell’esame di maturità, dal cui punteggio dipende la borsa di studio che le consentirebbe di partire. Un amico propone un baratto a Romeo: si può “aggiustare” l’esame in cambio di (…).

La posizione etica di Mungiu consiste nel presentare le situazioni senza emettere giudizi: il che è già molto, ma non una caratteristica esclusiva del suo cinema. Quel che rende il film eccezionale è il modo in cui fa coincidere estetica ed etica; nella consapevolezza che, anche al cinema, etica e linguaggio sono tutt’uno.

Difficilmente potremmo citare un premio alla regia più meritato di questo. Perfetta in sé, ogni inquadratura è calibrata al millimetro sul suo peso etico: come nelle frequenti scene di dialogo, dove gli interlocutori compaiono sempre nello stesso piano, anziché in campo/ controcampo, in base a un sincero scrupolo di par condicio che non faccia pendere il nostro giudizio verso l’uno o verso l’altro. Il che è, poi, il principio del famoso piano-sequenza come lo teorizza André Bazin e lo applicarono registi della Nouvelle Vague.

Però Mungiu fa di più: usa diverse tipologie di scena, adeguandole alle situazioni e amalgamandole in un tutto perfettamente fluido. Come nei primissimi minuti, dove poche inquadrature fisse instaurano subito quel perturbante quotidiano così caro al cinema di Michael Haneke; o come nelle scene in semisoggettiva (e qui il riferimento va ai fratelli Dardenne), che traducono in equivalenti visivi il turbamento e l’ansia di un personaggio.

Se quello che il regista-sceneggiatore ci mostra della vischiosa rete di connivenze, viltà, sordità morale che permea l’odierna Romania (ma siamo poi sicuri, noi, di stare molto meglio?), è il modo in cui ce lo mostra a fare l’eccezionalità del film e a mantenerne le immagini incollate a lungo alla nostra memoria. Come avviene per ogni forma di espressione, una storia può essere raccontata in mille modi. Questo è il migliore dei modi possibili.

(Roberto Nepoti – la Repubblica)

 

(…) Niente tinte forti stavolta, eventi estremi o scenari insoliti (come il monastero sperduto di Al di là delle colline). Qui tutto è all’insegna della normalità, il che rende le cose perfino più inquietanti. Siamo in una piccola città. La maturità del titolo originale (Bacalaureat) è quella che deve sostenere la figlia del protagonista, la coscienziosa Eliza, speranza dei genitori, separati in casa, e simbolo delle loro aspirazioni in un futuro migliore. Esiliati fino alla caduta di Ceausescu, il padre e la madre di Eliza sono tornati nel loro paese pieni di speranze alla caduta del regime e oggi devono fare i conti con la fine delle illusioni.

A pochi giorni dalla maturità però Eliza subisce una misteriosa aggressione. Ce la farà adesso, frastornata e lievemente ferita, a sostenere l’esame? Per il padre, un medico sui cinquanta già provato da altri misteriosi gesti di ostilità, è un duro colpo. Addio Cambridge e sogni di emancipazione dalle miserie locali. Eliza deve farcela, assolutamente. Così poco a poco cadono le maschere. Mentre si indaga sull’aggressione, pur di “aiutare” Eliza, che ne farebbe volentieri a meno, tra scuola, commissariato e ospedale il rispettabile dottore si lancia in una serie di scambi di favori ai limiti della legalità e oltre.

Mungiu non alza la voce ma mostra la connivenza, il contagio, le pressioni che esercitiamo senza volere anche sui nostri cari, la rete di interessi che avvolge persone e paesi in un assolutorio “così fan tutti”. Niente di nuovissimo forse. Ma che attori, che sguardo, che capacità di dire e non dire, alludere e far pensare.

(Fabio Ferzetti – Il Messaggero)

 

Titolo originale: Bacalaureat

Regia: Cristian Mungiu; Interpreti: Adrian Titieni (Romeo), Maria Dragus (Eliza), Lia Bugnar (Magda), Malina Malovici (Sandra), Vlad Ivanov (Ispettore Capo); Genere: Drammatico; Origine: Romania/Francia; Anno: 2016; Soggetto: Cristian Mungiu; Sceneggiatura: Cristian Mungiu; Fotografia: Tudor Vladimir Paduretu; Montaggio: Mircea Olteanu ; Produzione: Cristian Mungiu, Pascal Caucheteux, Grégoire Sorlat, Vincent Maraval, Jean-Pierre e Luc Dardenne, Jean Labadie per Mobra Films; Distribuzione: Pascal Caucheteux, Grégoire Sorlat, Vincent Maraval, Jean-Pierre e Luc Dardenne per Mobra Films; Durata: 127’.