Rams – Storia di 2 fratelli e 8 pecore


12/02/2016 - 13/02/2016

Proiezione unica ore 21

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Titolo originale: Hrutar Regia: Grímur Hákonarson; Interpreti: Sigurður Sigurjónsson (Gummi), Theódór Júlíusson (Kiddi), Charlotte Bøving (Katrin), Jon Benonysson (Runólfur), Gunnar Jónsson (Grímur), Þorleifur Einarsson (Sindri), Sveinn Ólafur Gunnarsson (Bjarni), Ingrid Jónsdóttir (Eygló), Jörundur Ragnarsson (Villi), Viktor Már Bjarnason (Finnur); Origine: Islanda; Anno: 2015; Soggetto: Grímur Hákonarson; Sceneggiatura: Grímur Hákonarson; Fotografia: Sturla Brandth Grøvlen; Musica: Atli Örvarsson; Montaggio: Kristján Loðmfjörð; Produzione: Netop Films in coproduzione con Profiles Pictures, in associazion con Aeroplan Film, Film Farms; Distribuzione: Bim (2015); Durata: 93’

 

Secondo il sito del Film Centre islandese (www.icelandicfilms.info) l’isola natia di Bjork ha sfornato otto – film nel 2015 e la produzione annuale non supera, da parecchio tempo, la decina. Pochissimi arrivano qui da noi a Sud, si ricorda qualche anno fa il pregevole Noi Albinoi premiato al festival di Torino. Otto-nove film all’anno non sono nemmeno pochi per un paese con poco più di 300.000 abitanti, meno di Bologna o Firenze: si tratta di titoli che godono, probabilmente, di una distribuzione “scandinava” e che magari riescono ad avventurarsi in Germania o in Gran Bretagna. Fa quindi sensazione che Rams, il titolo che ci piace segnalarvi oggi, sia sbarcato al festival di Cannes e abbia vinto il primo premio della sezione “Un certain regard”, la più importante dopo il concorso. Sull’onda di quel riconoscimento è stato invitato a decine di festival in tutto il mondo e candidato all’Oscar: è talmente strano, e al tempo stesso universale, che potrebbe anche vincerlo!

Rams significa “montoni” e forse la Bim poteva intitolarlo così, visto che il titolo originale islandese Hrutar vuol dire la stessa cosa. Il sottotitolo spiega come stanno le cose: è la storia, effettivamente, di otto pecore di razza pregiata e di due fratelli di razza testarda. Per la maggior parte del film Gummi e Kiddi, i due uomini, si prendono (anche non metaforicamente) a cornate come due montoni infuriati: sono fratelli, sono in là con gli anni ma hanno la zucca dura di due bambini litigiosi: abitano in case contigue ma non si rivolgono mai la parola e comunicano solo consegnando dei messaggi scritti al cane, l’unico essere che li sopporta e continua ad amarli entrambi. Fanno anche lo stesso mestiere, come tutti nella valle in cui vivono: la pastorizia. La routine di questo angolo di Islanda, assai remoto in un paese già remoto di suo, è scandita dalle stagioni, dalle competizioni per il montone più bello, dal taglio della lana, dalla nascita degli agnelli. Finché un giorno arriva la “scrapie”.

Ci siamo documentati: la scrapie si pronuncia “screpi”, viene dal verbo inglese to scrape (grattare) ed è una malattia incurabile delle pecore, una sorta di corrispettivo ovino del morbo della mucca pazza. Quando un gregge ne viene colpito, l’unico rimedio – chiamiamolo così – è abbattere tutti i capi, seppellire i cadaveri, bruciare il fieno e tutto ciò che hanno toccato, bonificare le stalle e aspettare due anni prima di ricominciare con bestie nuove importate alla bisogna. Una catastrofe, per l’economia e lo stile di vita della comunità islandese raccontata dal film e naturalmente per Gummi e Kiddi. Il secondo, già bislacco di suo, perde letteralmente la testa. Il primo concepisce invece un piano diabolico: risparmia sette femmine e un maschio che sembrano ancora sani e li nasconde nella cantina della fattoria, trasformata in stalla di fortuna. Il fratello ben presto se ne accorge. Ma purtroppo l’esistenza del minigregge viene scoperta anche dai veterinari, che arrivano armati fino ai denti per completare la mattanza. Solo che nel frattempo Gummi e Kiddi si sono dati alla fuga sui monti, sperando di sottrarre gli animali alla ferocia umana…

In certi passaggi Rams è quasi comico, di quella comicità un po’ gelida (…) tipica del cinema scandinavo, pensate a Kaurismaki. Ma avanzando verso il finale metaforico (i due fratelli si riavvicinano, e in un modo clamoroso che ovviamente non vi sveleremo) si rivela un apologo pieno di temi immensi. In primis è un film sul rapporto fra uomini e animali, sull’amore che può nascere e sulla violenza spesso gratuita che può dividere. A un secondo livello è una riflessione sulla sostenibilità, sul rapporto con la natura, sul cibo e sulle forme di consumo alle quali l’umanità si è abituata (andava proiettato all’Expo!). In più è una fiaba sulla solitudine del maschio adulto, su due uomini senza donne che si sono voluti bene, si odiano e torneranno forse a capirsi. Tutto questo in 90 minuti con molti belati e pochissimi dialoghi. Una visione insolita, da non perdere.

(Alberto Crespi – L’Unità)