L’uomo che vide l’infinito


02/12/2016 - 03/12/2016

Proiezione unica ore 21

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Regia: Matt Brown
Interpreti: Dev Patel (Srinivasa Ramanujan), Jeremy Irons (G.H. Hardy), Devika Bhise (Janaki), Toby Jones (John Littlewood), Stephen Fry (Sir Francis Spring)
Origine: Gran Bretagna
Anno: 2015
Soggetto:
Sceneggiatura: Matt Brown
Fotografia: Larry Smith
Musiche: Coby Brown
Montaggio: JC Bond
Produzione: Edward R. Pressman, Jim Young, Joe Thomas, Matthew Brown, Sofia Sondervan, Jon Katz
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 108


«Un’equazione non ha alcun significato per me, se non esprime un pensiero di Dio». Così era solito dire Srinavasa Ramanujan, un genio indiano della matematica, completamente autodidatta, che nel 1913 visitò il Trinity College di Cambridge, dove strinse una solida e profonda amicizia con il suo generoso mentore, l’eccentrico professore G.H. Hardy, e lottò contro i forti pregiudizi del mondo accademico per rivelare a tutto il pianeta le sue straordinarie scoperte scientifiche. A raccontarlo arriva adesso al cinema, anche in Italia, L’uomo che vide l’infinito per la regia di Matthew Brown, un adattamento dal libro di Robert Kanigel, che mette a fuoco soprattutto il sodalizio tra il docente Hardy, un ateo e razionalista, e il giovane fuoriclasse dei numeri, l’allievo indiano, capace di coniugare nella sua fervida mente scienza e poesia, ragione e fede, e di arrivare a complicatissime formule matematiche soltanto grazie all’intuito, la cui origine, a suo giudizio, non poteva che essere ispirata direttamente dal divino.

(Alessandra De Luca – Avvenire)

 

Piacciono gli struggimenti di un genio al cinema? Certo. È matematico. Ecco perché anche l’aritmetica, ostica a tanti di noi, può diventare “grande bellezza” sullo schermo come enuncia lo stesso Bertrand Russell in didascalia all’inizio de L’uomo che vide l’infinito. Russell è proprio uno degli accademici di Cambridge pronti ad accogliere nel 1913 lo stravagante arrivo di un genio in ciabatte (come l’inventore di Facebook Mark Zuckerberg ad Harvard in The Social Network di Fincher) dalla lontanissima India. Il nome è Srinivasa Ramanujan (Dev Patel) e nonostante faccia parte di una colonia inglese all’epoca abbastanza disprezzata, sarà lui a dominare gli accademici britannici attraverso formule innovative su numeri primi e funzioni di partizione in grado di sconvolgere l’ateneo dove studiò Isaac Newton. Divertente la strana coppia che si formerà tra il giovane mistico indiano convinto di ricevere quelle equazioni direttamente dall’Altissimo e H.G. Hardy (Jeremy Irons), colui che più di altri cercherà di inserirlo a Cambridge nonostante, a differenza di Ramanujan sia miscredente e costretto a dover dimostrare scientificamente le intuizioni dell’esuberante, e non particolarmente umile, collega.

L’ateo occidentale sarcastico più il brahmano orientale ortodosso. L’addizione funziona anche perché a sommarsi sono due attori sopraffini come l’ironico Irons (qui bravissimo) e il sempre eccellente Patel quando può esaltarsi in personaggi pronti a sfide impossibili. Film dunque piacevole, adattato dallo stesso regista dall’omonima biografia firmata Robert Kanigel. Abbiamo già visto matematici dare e fare dei grandi numeri al cinema, da Will Hunting – Genio ribelle di Van Sant, in cui gli sceneggiatori premiati con l’Oscar Ben Affleck e Matt Damon citavano espressamente Ramanujan, al più recente La teoria del tutto su Stephen Hawking. In questo caso colpisce assai l’incapacità di razionalizzare da parte del protagonista circa le ragioni misteriose del proprio dono. «È come dipingere ma con colori che non puoi vedere» lo sentiremo affermare con perplessità all’inizio del film. Corpo e psiche del giovane Srinivasa riusciranno a sopportare questo inspiegabile talento? A voi la risposta.

(Il MessaggeroFrancesco Alò)