06/04/2018 - 07/04/2018
Proiezione unica ore 21
Vincitore di 2 premi Oscar 2018
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Regia: Joe Wright
Interpreti: Gary Oldman - Winston Churchill, Kristin Scott Thomas - Clementine Churchill, Lily James - Elizabeth Layton, Stephen Dillane - Conte di Halifax, Ronald Pickup - Neville Chamberlain, Ben Mendelsohn - Re George Vi, Charley Palmer Rothwell - Miles Aldridge, Hannah Steele - Abigail Walker, Richard Lumsden - Generale Ismay, Nicholas Jones - Sir John Simon, Jordan Waller - Randolph Churchill, Hilton McRae - Arthur Greenwood, Jeremy Child - Lord Stanhope, John Locke - Oliver Wilson, Mary Antony - Mary Churchill, Tim Ingall - Eddie Walsh, Brian Pettifer
Origine: Regno Unito
Anno: 2017
Soggetto:
Sceneggiatura: Anthony McCarten
Fotografia: Bruno Delbonnel
Musiche: Dario Marianelli
Montaggio: Valerio Bonelli
Produzione: Working Title Films
Distribuzione: Universal Pictures International
Durata: 125
Maggio 1940. Mentre le armate di Hitler dilagano per l’Europa, in Gran Bretagna si dimette il primo ministro Chamberlain, che si è mantenuto su una linea di attendismo e diplomazia. Viene eletto Winston Churchill, poco amato dai compagni di partito e dalla monarchia. Alle sue spalle c’è una serie di fallimenti, a cominciare dalla disfatta dei Dardanelli nella I Guerra Mondiale, e ora si trova a fronteggiare una catastrofe. Churchill insiste sulla linea della guerra senza quartiere alla Germania, ma le pressioni per negoziare crescono. La vicenda si svolge nelle settimane della ritirata di Dunkerque, narrate di recente nel film di Christopher Nolan […].
A parte eventuali letture in chiave anti-Brexit (Churchill ragiona sempre in termini di Europa), si notano le attenzioni, tipicamente inglesi, alle differenze di classe ma soprattutto il tema centrale del film: l’oratoria politica. Come Il discorso del re, questo film affronta l’importanza della parola, della retorica come vero strumento per agire nella Storia. «Ha mobilitato la lingua inglese e l’ha spedita in battaglia»: queste le ultime battute, che spiegano la morale del film. Il regista Wright è un illustratore con qualche guizzo di modernismo: ha fatto Anna Karenina e Orgoglio e pregiudizio,
e anche stavolta si affida a uno sceneggiatore di nome, Anthony McCarten (autore di La teoria del tutto). La sua regia è solida, elegante, vecchio stile, come in fondo era vecchio stile, ottocentesca, la retorica di Churchill. Più e più volte, a concludere le scene, la macchina da presa si alza improvvisamente, a piombo sui personaggi, facendoli diventare, da individui, pedine. Curiosamente, in questo film super-britannico sono di grande aiuto due italiani: il montatore Valerio Bonelli e l’autore delle musiche Dario Marianelli, con un melodico pezzo per piano e orchestra che sembra un’aria d’opera ottocentesca. Del resto Isaiah Berlin, in un saggio memorabile sull’oratoria di Churchill, paragonava il suo stile, fitto di arcaismi e artifici, a un melodramma tragico in cui si alternano arie e recitativi.
Emiliano Morreale, La Repubblica
Corpo e parola. Winston Churchill era sostanzialmente questo, e da tale binomio un buon film sulla sua figura non poteva prescindere. Così accade che L’ora più buia di Joe Wright trovi il suo senso d’esistere nella potente performance corporale e verbale – la migliore a oggi – di un grande attore come Gary Oldman. In estrema sintesi, lui è il film. In una mimesi da brivido (5 ore di trucco quotidiane) Oldman e Churchill arrivano a fondersi senza però smarrire le distinte identità, ovvero la più alta ambizione di un artista della recitazione affrontando personaggi così iconici. […]
Due combattenti estremi entrati in collisione perfetta per esplodere nella genesi di un carattere complesso nell’ora – appunto – più difficile delle sue vita e carriera. E se Churchill fu un individuo a dir poco ingombrante, a quanto pare rimane tuttora un eroe persistente nell’immaginario patria e, tanto da indurre lo stesso Oldman a pronunciare pubblicamente un Thank you, Sir Winston Churchill ricevendo il Golden Globe. Un gesto, questo, bizzarro ma sintomatico del bisogno dei cittadini di Sua Maestà di rievocare il più grande statista nazionale di sempre per riempire, almeno psicologicamente, l’horror vacui attuale, tra fragilità politica e crisi identitaria. In tal senso diviene emblematico che il film di Wright arrivi nelle sale pochi mesi dopo il film di Chris Nolan, Dunkirk: raccontando gli stessi giorni tra fine maggio e inizi giugno del 1940, i due testi – per quanto cinematograficamente non comunicanti – sono l’uno il controcampo dell’altro. Lontano dalle spiagge visionarie di Nolan, L’ora più buia ci porta nei labirinti del potere, nei claustrofobici corridoi del War Cabinet ove il 65enne Churchill riottosamente rinominato primo ministro da Giorgio VI si tormenta cercando la soluzione alla II Guerra Mondiale. Ma soprattutto, si diceva, il settimo film di Wright si traduce nel corpo voluminoso e nei discorsi indimenticabili – ripresi dagli originali e che Oldman definisce uno dei momenti più alti della lingua inglese – di Sir Winston, maestro di retorica bigger than life, che incuteva timore persino al re anteponendogli i propri bisogni: «Alle 16 non posso incontrarla, faccio il sonnellino», e a Sua Maestà non restava che arrendersi. Quintessenza della Britishness, il primo ministro esondava d’ironia ed è bello che il rigoroso dramma politico-parlamentare confezionato da Wright ne dia giustizia, smarcandosi dal rischio di noia. Lontano da essere un’opera indimenticabile se non per l’interpretazione di Oldman, L’ora più buia ha il pregio di esporre le contraddizioni caratteriali di Churchill alternando e mescolando solennità, tragedia e commedia fino all’ultima, patriottica, scena.
Anna Maria Pasetti, Il Fatto Quotidiano
Premio Oscar 2018 a Gary Oldman come migliore attore protagonista e a Kazuhiro Tsuji, David Malinowski e Lucy Sibbick per il miglior trucco e acconciatura