La fattoria dei nostri sogni


15/11/2019 - 16/11/2019

Proiezione unica ore 21

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Regia: John Chester
Interpreti: John Chester - Se stesso, Molly Chester - Se stessa
Origine: Stati Uniti
Anno: 2018
Soggetto: John Chester, Mark Monroe
Sceneggiatura: John Chester, Mark Monroe
Fotografia: John Chester, Mallory Cunningham - (collaborazione), Benji Lanpher - (collaborazione), Kyle Romanek - (collaborazione)
Musiche: Jeff Beal
Montaggio: Amy Overbeck
Produzione: Farmlore Films
Distribuzione: Teodora Film
Durata: 91


La coesistenza con la terra è come un ballo, dice John Chester, regista e sceneggiatore (con Mark Monroe), oltre che protagonista (con Molly Chester), di La fattoria dei nostri sogni (The Biggest Little Farm, Usa). Intende la terra che si coltiva, e che in italiano scriviamo con la minuscola. Eppure, alla fine del film verrebbe da intendere anche Earth, in italiano Terra con la maiuscola.
Uomo di cinema lui e ottima cuoca “tradizionale” lei, John e Molly hanno un sogno: trasferirsi in campagna, diventare agricoltori, vivere «in perfetto equilibrio con la natura». A farli decidere è il loro cane Todd, che ha bisogno di grandi spazi dove abbaiare senza che il padrone di casa minacci lo sfratto. Raccolti i finanziamenti necessari, si gettano con coraggio nell’avventura. Ma la terra che vorrebbero coltivare, sulle colline dietro Los Angeles, è arida, secca, dura.
Tutto attorno ai loro 200 acri è un susseguirsi di monoculture, che alla perfezione dell’equilibrio con la natura hanno preferito quella del suo sfruttamento univoco e intensivo. Coltivare dovrebbe essere come andare in surf – secondo la metafora di Alan York, consulente e amico dei Chester –, invece questa altra “perfezione” pretende di spianare le onde, di vincerne la potenza, di incatenarne la complessità. Il risultato è una triste distesa di polvere e morte.
La fattoria dei nostri sogni documenta e racconta gli otto anni durante i quali John e Molly, e con loro molti collaboratori, cercano di danzare decisi e pazienti con alberi da frutto insidiati da parassiti, con coyote che uccidono galline, con marmotte e lumache che invadono i campi, con siccità e incendi, con alghe velenose che inquinano stagni. E consapevoli che tutta la cura e tutto l’amore che mettono nell’allevamento dei loro animali non impediranno che un giorno diventino cibo.
Il perfetto equilibrio sognato si rivela un susseguirsi di imperfezioni, uno squilibrio imprevedibile, talvolta crudele. La stessa fede nella biodiversità – nel rispetto e nella difesa della molteplicità di forme di vita, anche nei loro 200 acri –, questa stessa fede, dunque, sembra abbandonarli. Nel loro piccolo mondo ogni vivente, animale o vegetale, tende a perpetuare se stesso, attaccando ogni altro, e spesso uccidendolo e cibandosene.
«Le nostre migliori intenzioni vengono lentamente disilluse», commenta John in pieno sconforto. Quanto al ballo, aggiunge, ti accorgi che «il compagno cambia sempre». Come un surfista nella tempesta, scopre che non è lui a dirigerlo, il grande ballo, e che la complessità della terra minaccia di travolgerlo.
E proprio come surfisti accorti e ballerini leggeri, John e Molly finiscono per comprendere che l’equilibrio sognato non è una condizione data, un paradiso in sé, ma un continuo tendere, un avvicinarsi, un costruire coraggioso e mai terminato. Per non farsene travolgere, e per non ridurre il ballo a polvere e morte, conviene alzare lo sguardo, allontanarsi dall’immediatezza delle onde… Così come fa John, quando guarda la Via Lattea. Noi non ne siamo il centro, dice, ma una parte infinitesima perduta nella spazio sterminato. Scivolare sopra le onde della sua complessità, farsene portare senza presunzioni e senza paura: solo così si “costruisce” la perfezione, sapendo che si dovrà sempre ricostruirla. E questo vale sia per il nostro coltivare la terra, sia per il nostro vivere la nostra vita sulla Terra.
Roberto Escobar, Il Sole 24 ore