La chimera


09/02/2024 - 10/02/2024

Proiezione unica ore 21

Acquista i biglietti


Regia: Alice Rohrwacher
Interpreti: Josh O'Connor - Arthur, Carol Duarte - Italia, Alba Rohrwacher, Isabella Rossellini - Flora, Vincenzo Nemolato - Pirro, Lou Roy-Lecollinet - Melodie, Yile Vianello - Beniamina, Barbara Chiesa - Nella
Origine: Italia, Svizzera, Francia
Anno: 2023
Soggetto:
Sceneggiatura: Alice Rohrwacher
Fotografia: Hélène Louvart
Musiche:
Montaggio: Nelly Quettier
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 134


Alice Rohrwacher si afferma, film dopo film, come regista ineludibile. Il suo sguardo, preciso ed elegiaco, politicamente motivato, appassionato, lirico e ancorato a un respiro di matrice schiettamente neorealista, è una delle dichiarazioni di vitalità più convincenti del cinema italiano odierno. Ancorato alla radice del sentire di un paese e di un territorio progressivamente scomparso dalle immagini correnti, La Chimera interroga su come recuperare una relazione con un passato rimosso ma da calare nel tempo presente, tentando così di recuperare un filo perduto che possa (ri)tessere insieme mondi lontani. L’Italia tufacea − etrusca − del film è una delle invenzioni poetiche più generose di Alice Rohrwacher, che qui tocca vertici di precisione poetica e di tono davvero ammirevoli. Creando un mondo sospeso fra favola antica e modernità, La Chimera (che vanta un lavoro magistrale sulla grana della pellicola da parte di Hélène Louvart) commuove grazie anche al lavoro di Carol Duarte e Yle Vianello, davvero magnifiche e magistrali. Come inseguendo delle intuizioni che furono (anche) di Calvino, La Chimera prova che la favola può essere la sonda per osservare politicamente il mondo intorno a noi.
Giona A. Nazzaro, Rumore

I maligni direbbero che i film di Alice Rohrwacher sono come mercatini delle pulci. L’occhio si ferma continuamente su quel plissé gustosamente antiquato, sul celestino di quella Fiat 127, su quelle irresistibili giacchette vintage, su quel curioso porta biscotti che hai sempre notato da tua nonna e che non hai mai osato buttare. La verità è che guardare un film di Alice Rohrwacher è come andare al mercato delle pulci senza averne voglia, ma venendo via via conquistati perché ci si va con chi sa bene su quali oggetti fermarsi, quanto rimanerci prima di passare ad altro, e magari su ognuno di essi ti dice anche due cose. La chimera è un film di oggetti, girato da una regista DOC perché capace di imprimere dinamismo alle immagini: Rohrwacher sa quando indugiare, quando saltare di palo in frasca, quando muoversi, quando fermarsi, ha insomma senso del ritmo e del movimento. Tutto scorre nonostante la preponderanza dell’inanimato, cioè degli oggetti: Rohrwacher è, più di tutto, una regista di animazione. Del resto le donne e gli uomini sembrano tutti cartoni animati. Tutti, anche i controllori ferroviari, denotano idiosincratiche eccentricità (nella voce, nei gesti, nei corpi, nelle posture) che Rohrwacher, con una regia attentissima al fascino anche della baraccopoli più improvvisata o della campagna più scassata e spontanea, insomma alle alchimie della luce e della materia (il film mischia 35 mm, 16 mm, Super 16 mm), fa di tutto per valorizzare. Valore è la parola chiave.
Anni 80. Tombaroli laziali svendono i loro bottini archeologici a tale Spartaco (Alba Rohrwacher!), un mediatore che li piazza, per miliardi, sul mercato globale, e riabbracciano all’uscita del carcere il rabdomante Arthur (Josh O Connor, re Carlo in The Crown, sbattutissimo e con barba a lunghezza variabile). La chimera ha due anime. La prima, dichiarò il produttore Carlo Cresto-Dina, è un’indagine sull’identità italiana. Come si vive in un museo a cielo aperto? Non che tutto in Italia sia bello, ma tutto è singolare e invaso da tracce del passato. Da cui l’elogio dei marginali, dell’autenticità, dell’attaccamento residuale a un arcaico perennemente in sparizione, delle sagre di paese col vino nei bicchieri di carta. Ma gli Spartaco prezzano e vendono proprio l’inestimabile. Il film lo sa, sta al gioco, e appoggia il discorso su interrogativi non banali: se tutto ha un prezzo, soprattutto ciò che è inimitabile, che prezzo dare al lavoro? Chi lavora vive o è solo un oggetto? E se tutto è unico, che ne è della comunità? La seconda anima è la fascinazione per l’inorganico, l’unica cosa che non si può trasformare in merce. Un filo rosso, letteralmente, che il film riarrotola seguendo le movenze inquiete di Arthur, innamorato di una fidanzata morta da tempo. Il conflitto genera movimento, e il movimento è il cuore del cinema. Rohrwacher fa confliggere le due anime del suo film; oggettifica tutto, anche i viventi, in inerti pezzi da museo, e trova il movimento di ciò che è inerte. Il movimento cinematografico per definizione.
Marco Grosoli, FilmTV