Anatomia di una caduta

Anatomie d'une chute


17/11/2023 - 18/11/2023

Proiezione unica ore 21
Palma d'oro al 76° Festival di Cannes

Acquista i biglietti


Regia: Justine Triet
Interpreti: Sandra Hüller - Sandra, Antoine Reinartz - il magistrato, Samuel Theis - Samuel Maleski, Camille Rutherford - Zoé Solidor, Swann Arlaud - Vincent Renzi, Milo Machado Graner - Daniel Maleski, Jehnny Beth - Marge Berger
Origine: Francia
Anno: 2023
Soggetto:
Sceneggiatura: Arthur Harari
Fotografia: Simon Beaufils
Musiche:
Montaggio: Laurent Sénéchal
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 150


La prima regista normanna a vincere la palma d’oro a Cannes è la 45enne Justine Triet che nel ’23 ha battuto tutti con Anatomia di una caduta, un giallo classico, ma anche atipico, di 150 minuti, categoria inferno coniugale. Non spoilero nulla, inizia subito con il protagonista, scrittore in crisi, trovato esanime sul suolo, caduto dal secondo piano dello chalet sulle Alpi svizzere, dove abita con la compagna ed il figlio ipovedente. Non c’è ragione apparente, solo un rigagnolo rosso di sangue dalla testa sul candore della neve, ma poiché non c’è gente di passaggio in zona, dove la coppia si era trasferita da Londra per trovare tranquillità, ci sono solo due ipotesi: l’uomo era disperato e voleva suicidarsi, come sostiene la difesa della compagna che è subito la maggiore imputata, oppure è la crudeltà della donna che lo ha spinto alla morte.
Siamo tutti ipovedenti come il figlio, il film si svolge quasi tutto in tribunale ed è appassionante, non si smette di cambiare idea neanche un attimo anche per la bravura dialettica dei due avvocati. Non essendoci prove schiaccianti della caduta dal balcone, si indaga sui rapporti in famiglia e sulla rivalità professionale, giacché entrambi sono scrittori, lei in ascesa, lui in discesa. Viene rovistato ogni angolo della casa, non solo, si ritrovano anche cassette audio di litigi ma, senza il video, è difficile interpretarle.
Le responsabilità si rimpallano a ping pong e la regista, più abituata al brillante (Sibyl – Labirinto di donna, Tutti gli uomini di Victoria, passati entrambi da Cannes), se la cava benissimo nel gioco dei sospetti e anche nella difesa dell’ambiguità che regna nella storia: ha dichiarato che le piaceva l’idea di una donna mostro, dopo tanti uomini mostro, e che l’ha ispirata Fleischer col capolavoro Lo strangolatore di Boston. È anomalo il set innevato, la solitudine dell’alta montagna, ma l’anatomia di questa caduta diventa spesso sociale e morale: si indaga sui rapporti psicologici dei due, sullo stile di vita e scrittura, certo sul sesso, e il figlio non sarà certo estraneo al racconto in cui la madre è la maggiore sospettata.
Film da tribunale in tutto e per tutto (viene in mente un altro capolavoro, Testimone d’accusa di Billy Wilder, da Agata Christie) col piacere delle arringhe e dei volti dei giurati, ma tutto si stempera nel dono che l’autrice fa alla platea: non si sa nulla, tutto si immagina, come diceva Fellini. Spina dorsale della riuscita è una grande attrice tedesca, Sandra Huller (già in Sibyl), in un cast perfetto, ma la bravura della regista tiene alla larga i tempi anche senza violenza o colpi di scena; è il piacere di avvicinarsi un poco alla volta a questa storia, in cui la relazione tra la vittima e il colpevole è molto difficile da delineare. Ci si muove a tentoni, chissà, ci illudiamo di avere in mano una soluzione, la prova. Si accettano scommesse, ma di certo il film fila via come un treno nella notte (copyright Truffaut).
Maurizio Porro

(…) Il riferimento del titolo a Anatomia di un omicidio di Preminger non è casuale, ma anche se si profila l’identikit una donna forte e sicura di sé, in realtà la regista preferisce mettere a nudo le sue fragilità e i suoi dubbi; inoltre il leitmotiv – ovvero la rete dei sensi di colpa che il marito ha steso per difendere un patriarcato del tutto inutile rispetto a una moglie in carriera – stavolta risiede proprio nella durata di due ore e mezza che fa percepire il freddo degli esterni innevati penetrato nella casa dove finisce col raggelare anche il nucleo degli abitanti. Cosa peserà di più nel giudizio della corte e soprattutto in quello del pubblico? Il risentimento? Il tradimento? La sensazione di non potersi mai fidare del partner? O, peggio, la consapevolezza che niente importi a nessuno dei coinvolti? Anatomia di una caduta pone domande profonde sui suoi personaggi, ma raggiunge la massima intensità quando riconosce di non possedere le risposte.
Valerio Caprara