Un divano a Tunisi


27/11/2020 - 28/11/2020

Proiezione unica ore 21
Evento annullato per DPCM 3 novembre

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Regia: Manele Labidi Labbé
Interpreti: Golshifteh Farahani, Majd Mastoura, Aïcha Ben Miled, Feriel Chamari, Hichem Yacoubi, Najoua Zouhair, Jamel Sassi, Ramla Ayari
Origine: Francia
Anno: 2019
Soggetto:
Sceneggiatura: Manele Labidi Labbé
Fotografia: Lauren Brunet
Musiche: Flemming Nordkrog
Montaggio: Yorgos Lamprinos
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 87


Selma Derwish, giovane donna risoluta e indipendente cresciuta a Parigi, dove è diventata psicoanalista, decide di tornare nella sua città d’origine, Tunisi, per aprire uno studio privato. Ma il Paese, reduce dalla Primavera araba, non è ancora pronto per una donna che si guadagna da vivere sdraiando le persone su un lettino. L’opera prima di Manele Labidi, Un divano a Tunisi, si apre con la voce di Mina che canta Io sono quel che sono, si chiude con un insolito finale e fa luce sui pregiudizi e l’ignoranza che minacciano una donna in lotta contro le convenzioni di una società patriarcale attraverso l’incontro della protagonista con pazienti eccentrici e stralunati, destinati, tra diffidenze e incomprensioni, a metterla di fronte a ostacoli apparentemente insormontabili. Mescolando con una certa disinvoltura umorismo e riflessione su temi niente affatto banali.
Alessandra De Luca, Avvenire

Tornando a Tunisi da Parigi Selma (Golsifteh Farahani) compie quel viaggio davanti al quale mette i propri pazienti, sdraiati o seduti sul suo improvvisato divano da psicanalista: verso il passato, l’infanzia, la famiglia e le sue dinamiche, l’influenza dei costumi sociali di un paese sulla formazione di una persona nella più tenera età.
La protagonista di Un divano a Tunisi di Manèle Labidi – presentato l’anno scorso alle Giornate degli Autori di Venezia torna nel paese dove è nata proprio per fare la psicanalista, contro le obiezioni di tutti coloro che tacciano di follia la sua scelta di esercitare la professione in Tunisia – proprio lei, donna dai costumi e la formazione europea, ostile per giunta all’idea del matrimonio. Eppure molto presto davanti alla sua porta si crea una lunga fila di pazienti: dalla parrucchiera naturalmente chiacchierona al panettiere che lotta con la propria omosessualità e la notte sogna Putin. Un movimento incessante di persone che si riflette in quello a cui è costretta la stessa Selma per ottenere dal Ministero della Salute l’autorizzazione per esercitare la psicanalisi.
La Tunisia raccontata dal film è quella all’indomani della primavera araba e dell’esilio di Ben Ali, un Paese al crocevia fra il passato e una nuova libertà con tutti i suoi pericoli: sul divano di Selma così come nella commedia adi Labidi si agitano le contraddizioni di una società, i suoi tabù, i «traumi» da elaborare – a volte incorrendo nel rischio della macchietta, mentre proprio il mondo interiore di Selma si perde sullo sfondo, ingoiato da una galleria di personaggi in cui la protagonista cerca il senso del proprio agire, il rapporto con le sue radici di donna anche lei al crocevia fra due mondi e determinata a non cedere a ciò che ci si aspetta da lei.
Giovanna Branca, il Manifesto