06/12/2024 - 07/12/2024
Proiezione unica ore 21
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Regia: Gabriele Fabbro
Interpreti: Ydalie Turk - Dalia, Umberto Orsini - Igor, Margherita Buy - Marta, Enzo Iacchetti - Battitore d’asta
Origine: Italia
Anno: 2024
Soggetto:
Sceneggiatura: Gabriele Fabbro, Ydalie Turk
Fotografia: Brandon Lattman
Musiche: Alberto Mandarini
Montaggio: Gabriele Fabbro
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 100
Dalia è una ragazza londinese in difficoltà, spedita dalla madre italiana in un paesino nelle Langhe a prendersi cura del nonno Igor. La vita rurale non è facile da apprendere, ma piano piano la ragazza si apre alla vita, alla natura e a un rapporto con il nonno cercatore di tartufi sempre migliore. La demenza senile e la notifica di sfratto incombono, resta poco tempo per scovare in quella terra fertile il tartufo della salvezza, così Igor sceglie di tramandare i segreti da trifolao a sua nipote, con la speranza di poter salvare la casa.
È il poetico e colorato Trifole – Le radici dimenticate di Gabriele Fabbro, con Umberto Orsini nei panni del nonno, Margherita Buy in quelli di sua figlia e Ydalie Turk in quelli della nipote londinese, che sta passando un momento difficile della propria vita e viene spedita dal nonno in (mutuo) soccorso. Imparerà a decostruire tutto quello che sapeva, adattarsi al tempo lento e ai colori speciali delle Langhe, ma anche a scovare tartufi nella terra, specialità di suo nonno da sempre.
La ricerca dei tartufi nel film è palese metafora della ricerca della felicità, tanto più preziosa quanto più difficile da trovare, proprio come il tartufo d’Alba detto “trifola” in dialetto piemontese. Scritto insieme all’attrice protagonista Ydalie Turk, vanta nelle location spettacolari, nella fotografia e nel sonoro i suoi punti forti. Impossibile non restare magneticamente attratti da quei paesaggi da fiaba, non innamorarsi dei suoni e delle meraviglie delle Langhe. Colpisce anche il progressivo cambio di tono del film, per la prima metà fondamentalmente molto da favola, salvo trasformarsi presto in una fiaba nera. Intanto perché il nonno sta male, non solo a livello di salute (mentale, soprattutto), ma anche di economia: una trifola di notevoli dimensioni potrebbe salvarlo dalla condizione economica critica in cui verte. La ricerca del tartufo perfetto diventa allora per la nipote una sorta di ossessione, specie quando – per un evento clou che non sveleremo – si troverà suo malgrado a confrontarsi con il mondo – in questo film, spietato – del commercio dei tartufi, fatto di aste e competizione ai massimi livelli, date le cifre esorbitanti. Sorprende trovare volti noti come Enzo Iachetti e Caterina Balivo come battitori d’asta, in una parte del film fortemente ancorata alla realtà, di stile a tratti documentaristico, come a dire che la favola è ormai altrove. La regia di Fabbro sa sorprendere, osa alcuni movimenti inaspettati, propone la soggettiva di un cane (Birba, esperto cercatore di tartufi) e mostra tutta l’intenzione di voler celebrare le Langhe e le loro storie. Non a caso il film è dedicato a tutte le persone delle Langhe che «hanno condiviso la loro storia». Una storia davvero unica da una parte – di ricerca dei tartufi si occupa poco e niente il nostro cinema –, dall’altra già vista e con trovate di sceneggiatura non propriamente originali. Sa tuttavia lasciare il segno, mostra uno stile e una potenza visiva che restano impressi e sul finale mescola amarezza e incanto, mostrando al pubblico ciò che favolisticamente poteva essere e ciò che amaramente è stato, sottolineando come il calore della ritrovata unione familiare batta inevitabilmente il più pregiato dei tartufi.
Claudia Catalli, mymovies.it
Sullo sfondo delle Langhe mitizzate da Cesare Pavese una vicenda familiare ambientata nel mondo del pregiato tartufo piemontese. Una fiaba per riconnetterci con la natura e con i legami più radicati dell’esistenza. Nei centodue versi de I mari del Sud, componimento d’apertura della raccolta poetica Lavorare Stanca, Cesare Pavese annota con malinconico riecheggiamento: «le Langhe non si perdono», ponendo le basi per una struggente riflessione sul senso di totale sradicamento dalle origini. Confinato a Brancaleone Calabro per essere dichiaratamente antifascista, lo scrittore rievoca il valore magnetico del luogo d’origine nobilitandone l’aspetto morfologico ed evidenziando la connessione tra quelle morbide colline dalle quali intravedeva il mare e il proprio essere. […] Permeato dal fascino mitologico dell’essere considerato frutto dei fulmini scagliati da Giove durante le piogge, la ricerca conserva i dettami delle ancestrali credenze popolari tramandate dalla conoscenza profonda del territorio vissuto come spiritualmente congiunto. Luoghi oramai trasformati dall’insaziabile e spietata urbanizzazione che ha espropriato il paesaggio dall’integrità e dal naturale funzionamento biologico spezzando in modo quasi irrevocabile l’equilibrio uomo-natura con la conseguente penuria di risorse. La scarsità della materia prima, oltre a causare complicanze nella venazione, acuisce la contesa tra i cercatori aizzandoli gli uni contro gli altri in un business senza scrupoli le cui esasperate dinamiche mirano unicamente al profitto. È il potere economico a muovere i fili, nient’altro. […]
Fabbro inscena un ammonimento a riscoprire le usanze nostrane trascurate e soprattutto a curare e ravvivare l’amore familiare celebrato come elemento imprescindibile per l’esistenza. Pur rimanendo convenzionale nell’intreccio, il punto di vista sul mondo inesplorato dei tartufi è inedito.
Miriam Raccosta, cinematografo.it