10/03/2023 - 11/03/2023
Proiezione unica ore 21
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Regia: Darren Aronofsky
Interpreti: Brendan Fraser, Sadie Sink, Ty Simpkins, Hong Chau, Samantha Morton
Origine: Stati Uniti
Anno: 2022
Soggetto: Samuel D.Hunter
Sceneggiatura: Samuel D.Hunter
Fotografia:
Musiche:
Montaggio:
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 117
Charlie è un uomo solo. Insegna inglese in video collegamento sul pc ma l’unico a oscurarsi è lui, il primo a dover invece apparire. Charlie, in sostanza, è una voce. A tenerlo nascosto è la vergogna per un’obesità debordante che lo sta portando per mano all’altro mondo. La fine annunciata e l’isolamento sono la cifra di un uomo che in realtà ha paura a mostrare sé stesso. I suoi errori. Le sue debolezze. Ed è proprio in questa fase estrema che tenta un ultimo sforzo per ricucire i brandelli della sua esistenza sbagliata. Cerca di ricostruire una sintonia con la figlia che lo maltratta. Prova a spiegare alla ormai ex moglie che la loro «bambina» è una ragazza brillante, non di crudeltà senza pari come invece ritiene la donna.
E qui si arriva al senso del film. «Nessuno è incapace di amare». E Charlie è spinto all’autocritica e alla denuncia dei suoi molti errori, come essersi invaghito di un suo allievo e aver dimenticato figlia e famiglia. Con tutto quello che ne è conseguito. L’uomo inizia un viaggio dentro sé stesso. E scopre di non essere poi così lontano dall’Achab della Balena bianca. Entrambi inseguono un sogno. Tutti e due subiscono il fascino tossico di ciò che sarebbe potuto accadere. E sono ossessionati dall’idea di un futuro alternativo.
Quello di Charlie è un bilancio che non quadra, ma mostra al pubblico che un eccellente film non necessita di bellocci ed effetti speciali. Può costare pochissimo essendo girato quasi interamente in interni ma avere molto – anzi moltissimo – da dire e da insegnare. Charlie è un esempio in negativo ma restano in troppi coloro che dalle loro negatività non sono capaci di fare ritorno. E allora… poco importa la diseducativa alimentazione del protagonista e tanto la sua capacità di mettersi in discussione e amare, quando sarebbe più facile glissare su un passato ingombrante. Charlie trova la capacità di apparire ai suoi studenti e sembra dire alla platea che mostrare il vero sé è trasformazione. E intelligente onestà. Come non perdere questo film.
Stefano Giani, Il Giornale
Chi conosce il cinema di Darren Aronofsky non si aspetterebbe mai da lui un “feel-good-movie”, un film per stare bene: il cineasta newyorkese ci ha abituati a storie su gente con problemi di dipendenza, di vecchiaia, di solitudine; e neppure questa volta si smentisce. Tutto l’opposto per il protagonista di The Whale, Brendan Fraser, eroe di film sciocchi e infantili come la trilogia La mummia che non avremmo immaginato in una parte difficile come questa (per la quale è candidato all’Oscar come miglior attore protagonista).
Incredibilmente deformato dal trucco, Fraser è Charlie, insegnante di inglese enormemente obeso che, dopo la morte dell’amante Alan, si è autorecluso in casa a rimpinzarsi di cibo in modo ossessivo. Le sue lezioni si tengono sul web, ma a telecamere spente, perché l’uomo non vuole che gli studenti vedano il suo aspetto difforme. Lo può avvicinare soltanto l’infermiera Liz, la quale tenta invano di farlo curare prima che sia troppo tardi. Ma Charlie, oltreché di autodistruzione, è anche alla ricerca di redenzione e, sapendo che gli resta poco da vivere, tenta di riallacciare i rapporti con Ellie, la figlia adolescente che non vede da nove anni. A parte qualche incursione, come quella della ex-moglie e quella, poco significativa, di Thomas, un missionario che vorrebbe salvargli l’anima, tutto l’interesse drammatico è concentrato sul degrado del protagonista, che si muove per la propria casa con sempre maggiore difficoltà e servendosi di una carrozzina.
Tratto dal dramma di Samuel D. Hunter, The Whale è il genere di film destinato a turbare e a dividere il pubblico. Intanto per la scelta della patologia di cui soffre il protagonista: una obesità iperbolica che può anche generare repulsione, molto meno cinegenica e scontata dell’alcolismo al centro di tanti film sulla depressione. Neppure lo stile claustrofobico di rappresentazione è fatto per rasserenare l’animo dello spettatore, sottolineato dallo “stretto” formato 1:33 dello schermo, con prevalenza di primi piani e luci smorzate. Malgrado qualche difetto (in particolare l’analogia col Moby Dick di Herman Melville, trattata con poca sottigliezza e che alla fine scivola nel melodramma), The Whale si può collocare senza sforzo nel gruppo dei film migliori del discontinuo Aronofsky: assieme a The Wrestler (che richiama alla memoria anche per il protagonista malato e il tentativo di ricucire il rapporto con la figlia) e al Cigno nero piuttosto che al confuso The Fountain – L’albero della vita o al pretenzioso Noah. Glissando sulle polemiche innescate all’uscita americana del film intorno al tema dell’obesità, bisogna riconoscere il sorprendente livello dell’interpretazione di Brendan Fraser, alla cui candidatura all’Oscar si affianca quella di Hong Chau (Liz) come migliore attrice non protagonista.
Roberto Nepoti, la Repubblica