Ritratto di famiglia con tempesta


17/11/2017 - 18/11/2017

Proiezione unica ore 21

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Regia: Kore'eda Hirokazu
Interpreti: Hiroshi Abe - Shinoda Ryota, Yôko Maki - Shiraishi Kyoko, Taiyô Yoshizawa - Shiraishi Shingo, Kirin Kiki - Shinoda Yoshiko, Lily Franky , Sôsuke Ikematsu , Satomi Kobayashi , Isao Hashizume
Origine: Giappone
Anno: 2016
Soggetto: Hirokazu Kore-Eda
Sceneggiatura: Hirokazu Kore-Eda
Fotografia: Yamazaki Yutaka
Musiche: Hanaregumi
Montaggio: Hirokazu Kore-Eda
Produzione: Aoi Pro. Inc.
Distribuzione: Tucker Film
Durata: 117


Quando diciamo di un film come in un romanzo. Perché? Per l’intensa fusione di ragione e sentimento in personaggi da scoprire fuori e dentro se stessi nel corso di un tempo sufficiente a lasciarci la prova della loro esistenza in vita, tra desideri, rimpianti, fallimenti, risalite, da leggere nei volti e ascoltare nei silenzi. Conta l’equilibrio delle parti e la chiarezza dei conflitti, e qui siamo a un risultato ammirevole, dall’autore giapponese di opere approfondite su ruoli ed emozioni nelle convenzioni del family-drama, sollecitate però a espansioni zen rivelatrici, come Still Walking, Father and Son (2013) e Little Sister (2015), ma questo è anche più riuscito.
In una fase inconcludente, incapace di sfruttare il discreto successo del prima libro, limitato dal divorzio agli incontri col figlio, uno scrittore ritrova un po’ di luce nella acuta umiltà della madre, che in una notte di tempesta riunisce figlio, nuora e nipote. Magistrali la scelta dei piani, il procedere quasi circolare, le singole personalità, gli attori, i luoghi del quotidiano. C’è l’eredità di Ozu nel potere controllato del tempo.
Silvio Danese, Il Giorno

Antica quanto la settima arte, negli ultimi anni la cinematografia giapponese non ha espresso personalità a livello del suo glorioso passato. Tra le più interessanti c’è quella di Hirokazu Kore-Eda, autore a pieno titolo dalla poetica ben riconoscibile: centrata, soprattutto nelle ultime opere (Father and Son, Little Sister), sulla famiglia, il rapporto tra presente e passato, i sentimenti individuali nel piano tematico, la sobrietà di regia in quello formale. Frequentatore abituale di Cannes, l’anno scorso il cineasta nipponico ci aveva portato Ritratto di famiglia con tempesta, che ora esce in Italia in coincidenza con la nuova edizione del Festival.
Al centro c’è una famiglia, recentemente sciolta dal divorzio: Ryota, Kyoko e il loro figlio undicenne Shingo. Altro personaggio fondamentale Yoshiko, la vecchia madre di Ryota, mentre la sorella di questi ha un ruolo accessorio. L’azione (come accadeva in Little Sister) ha inizio subito dopo un funerale, quello del padre del protagonista maschile. Ryota è un tipo che non sta bene nella propria pelle. Baciato da un successo precoce – un premio letterario – da quindici anni è alle prese con la sindrome della pagina bianca; ora, poi, soffre per la separazione dalla moglie, che ha una relazione con un uomo meno versato per la letteratura, più per l’economia. Infatti Ryota non riesce nemmeno a pagare l’assegno di mantenimento per il figlio: guadagna (poco) facendo l’investigatore privato in pedinamenti per cause coniugali; ma perde tutto scommettendo alle corse di bici keirin. Spesso si confida con mamma, salvo poi frugare nei suoi cassetti alla ricerca di quattrini. L’anziana Yoshiko, casalinga sempre affaccendata intorno ai fornelli (il cibo è un altro elemento importante nel cinema di Kore-eda) ma anche buona psicologa, sintetizza alla perfezione il problema del suo bambinone mai cresciuto: che fluttua tra la nostalgia di un passato perduto e l’illusione di un futuro sognato, ma non sa vivere nel presente. Un giorno, complice un tifone che investe la città con violente raffiche di pioggia, la vecchia insiste perché la famiglia divisa passi la notte a casa sua; nella speranza, maliziosa e tacita, che i due ex-coniugi si riconcilino. L’ultima parte del film, che si svolge all’interno della casa, è una seduta a porte chiuse condotta con un senso dell’intimità – e insieme del pudore – visto di rado nel cinema più recente. Ne era maestro il grande Yasujiro Ozu: inarrivabile, certo, ma del quale Kore-Eda è un po’ il discepolo inconfessato. Simile la capacità di rendere significanti i gesti di ogni giorno, di suggerire le tempeste interiori senza ricorrere a sovrattoni, di caricare simbolicamente gli oggetti più banali (qui i biglietti della lotteria che il ragazzino, ben più adulto del padre, vorrebbe vincere per riunire i genitori). Ma la sottigliezza del regista si apprezza in particolare nel modo in cui ci spinge a percepire i suoi personaggi. Quello del protagonista, soprattutto. Inaffidabile, geloso, bugiardo e non troppo onesto, Ryota avrebbe tutto per risultarci antipatico; e invece, nella sua immaturità puerile, ma unita a un sincero desiderio di riscatto, finisce poco a poco per aggiudicarsi la nostra solidarietà.
Roberto Nepoti, La Repubblica