Qui rido io


29/10/2021 - 30/10/2021

Proiezione unica ore 21

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Regia: Mario Martone
Interpreti: Toni Servillo - Eduardo Scarpetta, Maria Nazionale - Rosa De Filippo Scarpetta, Cristiana Dell'Anna - Luisa De Filippo, Eduardo Scarpetta (II) - Vincenzo Scarpetta, Roberto De Francesco - Salvatore Di Giacomo, Lino Musella - Benedetto Croce, Paolo Pierobon - Gabriele D'Annunzio, Giovanni Mauriello - Mirone, Chiara Baffi - Anna De Filippo detta Nennella, Gianfelice Imparato - Gennaro Pantalena, Iaia Forte - Rosa Gagliardi, Roberto Caccioppoli - Domenico Scarpetta detto Mimì, Lucrezia Guidone - Irma Gramatica, Elena Ghiaurov - Lyda Borelli, Gigio Morra - Presidente del tribunale, Greta Esposito - Maria Scarpetta, Alessandro Manna - Eduardo De Filippo, Marzia Onorato - Titina De Filippo, Salvatore Battista - Peppino De Filippo, Aldo Minei - Eduardo De Filippo detto Eduardiello, Tommaso Bianco - Zio Pasqualino, Nello Mascia - Giudice istruttore, Benedetto Casillo - Luca, Francesco Di Leva - Fotografo, Giovanni Ludeno - Ferdinando Russo
Origine: Italia, Spagna
Anno: 2021
Soggetto: Mario Martone, Ippolita di Majo
Sceneggiatura: Mario Martone, Ippolita di Majo
Fotografia: Renato Berta
Musiche:
Montaggio: Jacopo Quadri
Produzione: Indigo Film
Distribuzione: Rai Cinema
Durata: 132


L’ultimo re di Napoli non si chiamava Borbone ma Eduardo Scarpetta (1853-1925). I suoi spettacoli facevano il tutto esaurito e avevano ammiratori illustri come Gorkij e Croce. Alcuni suoi testi, Un turco napoletano, Miseria e nobiltà, Il medico dei pazzi, sarebbero diventati film con Totò. La sua villa sopra Napoli, con la celebre scritta “Qui rido io”, era celebre per il lusso e le feste. Il suo prestigio era assoluto. Come la sua libertà, che usava per comportarsi come Zeus nell’Olimpo. Un Olimpo fatto di mogli, amanti, figli, figliastri, attori, attrici, in un turbine che impasta la vita e la scena in un unico amalgama. Destinato ad attraversare le epoche perché tra i suoi figli naturali, come sarebbe stato riconosciuto solo nel 1972, c’erano anche Eduardo, Titina e Peppino, figli di Luisa De Filippo, nipote di sua moglie Rosa… Interpretato da un Toni Servillo semplicemente meraviglioso, lo Scarpetta di Martone, forse il capolavoro del regista napoletano, è qui colto nei primi anni del ‘900, all’apice della gloria e insieme alla vigilia del lento declino scatenato dal processo per plagio intentatogli da Gabriele D’Annunzio e da molto altro. Il logorìo di una vita vissuta a passo di carica, la concorrenza del cinematografo, iI trascorrere del tempo e delle mode. E il confronto con tutti quei figli, l’altro polo narrativo del film. Che cosa significa crescere con uno “zio” che passa a trovarti e veglia sulla tua educazione, salvo spedirti per anni a balia in campagna (Peppino)? Cosa succede davvero in scena se dietro le quinte c’è un altro figlio che aspetta da sempre di debuttare, e in platea tutti sanno (e perdonano) tutto, finché un nome più potente – D’Annunzio – non ti cita per aver osato parodiare il suo “La figlia di Iorio”? Costruito con un sapiente intarsio di epoche e episodi (la sceneggiatura è di Martone e di sua moglie Ippolita Di Majo), animato da generazioni di grandi interpreti della scena napoletana (citiamo almeno Maria Nazionale, Gianfelice Imparato, Cristiana Dell’Anna, Iaia Forte, il bisnipote e omonimo Eduardo Scarpetta), costellato di allusioni al cinema (Charlot, la Napoli filmata dai Lumière nel prologo), Qui rido io è il grande film sulla storia del nostro spettacolo che mancava al nostro cinema. E che solo un regista “totale” come Martone forse poteva osare e riuscire.
Fabio Ferzetti, L’Espresso

È una storia che ne contiene molte altre quella raccontata da Mario Martone (e dalla sua cosceneggiatrice Ippolita di Majo) in Qui rido io, come spesso è il teatro che nasconde dentro di sè molto altro ancora. Al centro c’è la carriera di Eduardo Scarpetta (Toni Servillo, superlativo) nel momento del suo massimo splendore, agli inizi del Novecento (il titolo del film è il motto che fece mettere sulla sua villa), ma c’è anche il peccato di superbia che lo portà a sfidare D’Annunzio scrivendo una versione farsesca de Il figlio di Iorio, con il processo per plagio che ne seguì; c’è la sua vita privata, fatta di figli legittimi e illegittimi, di mogli e amanti, tutti e tutte riunite in un’unica famiglia, di cui facevano parte anche i tre De Filippo – Titina, Eduardo e Peppino – «dove regnavano, in modo assoluto, l’iporcisia e l’amoralità» (per citare Peppino, che quel padre odiò fortissimamente); c’è la sua compagnia, perché tutti dovevano imparare a recitare e contribuire al successo della Ditta; c’è il confronto con chi insegue un altro teatro, non più farsesco ma naturalista, dove il rinnovamento culturale si mescola all’invidia e agli orgogli feriti. E poi c’è Napoli, il suo universo colorato e caloroso, affascinante e opprimente insieme, che la messa in scena sa raccontare con i suoi ricchissimi interni, ma anche con le canzoni da posteggia che accompagnano, sottolineano e a volte commentano l’azione. Tutto questo Martone lo orchestra con straordinaria fluidità, senza privilegiare alcun tema ma tutti affrontandoli e raccontandoli, per restituire un mondo – quello di Scarpetta e del teatro partenopeo – che non vuole essere solo ricostruzione storica ma anche riflessione sulla complessità e le contraddizione (sicuramente ingiustificabile come marito, Scarpetta scelse però di far studiare le figlie Titina e Maria, che ai tempi era assoluta rarità). Per offrirci, nelle argomentazioni di Benedetto Croce (Lino Musella), le facce di un successo destinato a vincere al tribunale ma a tramontare sui palcoscenici. E sostenuto da un cast in stato di grazia (Maria Nazionale e Cristiana Dell’Anna, la legittima moglie Rosa e la madre mai sposata dei De Filippo che non riconobbe mai), il film finisce così per essere una specie di ricapitolazione in forma di commedia di un legame con le proprie radici napoletane, complesse e chiaroscurali come appunto fu il personaggio di Scarpetta.
Paolo Mereghetti, Il Corriere della Sera