One Second


11/03/2022 - 12/03/2022

Proiezione unica ore 21

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Regia: Zhang Yimou
Interpreti: Zhang Yi , Liu Haocun , Fan Wei , Yu Ai Lei , Zhang Shaobo , Li Yan
Origine: Cina, Hong Kong
Anno: 2019
Soggetto:
Sceneggiatura: Geling Yan, Zhang Yimou
Fotografia: Zhao Xiaoding
Musiche: Loudboy
Montaggio: Du Yuan
Produzione: Huanxi Media
Distribuzione: Europictures
Durata: 104


I personaggi sono un proiezionista idolatrato perché porta la meraviglia del cinema nel villaggio, e pazienza se – come è il caso – si tratta di una pellicola di propaganda; un carcerato evaso al solo scopo di poter rivedere almeno per un secondo, sul breve passaggio di un fotogramma, la figlia ripresa fra altri lavoratori; e una ladruncola orfana che ha rubato un rullo. Con questa deliziosa commedia agro-dolce Zhang Yimou mostra nella Cina in piena Rivoluzione culturale la povertà, la desolazione, l’indottrinamento (e infatti l’attuale regime ha bloccato il film per due anni): ma, pur con qualche leziosità formale, One Second è un empatico spaccato umano e una nostalgica rievocazione del cinema come poetica fonte di immaginario.
Alessandra Levantesi Kezich, La Stampa

C’era una volta il cinema, c’era una volta la Rivoluzione culturale cinese, c’era una volta la censura, e almeno quella c’è ancora se l’ ultimo film di Zhang Yimou, ritirato in extremis dalla Berlinale 2019 con le solite scuse risibili, esce solo ora dopo aver subito una serie di imprecisati “ritocchi”. Che peraltro non alterano la forza simbolica e visiva di questa fiaba doubleface. Il tono è eroicomico, il sottotesto politico, il ritmo indiavolato da vecchia Hollywood, anche se siamo in un paesino miserabile circondato dal deserto. E ogni personaggio, ogni azione, ogni colpo di scena, assume immediatamente un sapore iperbolico. Non a caso nel 2009 il regista di Lanterne rosse ha firmato un remake (peraltro non esaltante) del primo film dei fratelli Coen, Blood simple, anche se qui si pensa soprattutto a Nuovo cinema Paradiso. Un paradiso di là da venire, che esiste solo nella propaganda del Partito (siamo nel 1975, alla fine della Rivoluzione Culturale). E nella sua arma più forte: il cinema appunto, rappresentato da un funzionario zelante e molto popolare detto “Mr. Film” che ogni settimana proietta un nuovo titolo a quel pubblico ingenuo e avido di consolazioni. Fino a quando una ragazzina lacera ma lesta non ruba per fini misteriosi una preziosa bobina del filmone in programma (Heroic Sons and Daughters, 1964). Inseguita da un misterioso forestiero, forse evaso dal vicino campo di lavoro, deciso a recuperare quella pellicola in cui pare appaia sua figlia. Il resto conviene scoprirlo in sala, ammirando il divertimento e l’ambiguità con cui Zhang intreccia materiali incendiari e non sempre compatibili. Da un lato la nostalgia per un’epoca in cui il cinema era sogno collettivo e realtà tattile, 24 fotogrammi al secondo che si potevano anche guardare controluce (e ripulire tutti insieme appassionatamente, scena bellissima, se la pellicola finiva trascinata nella polvere), non un ammasso immateriale di byte. Dall’altro la miseria materiale e morale di un’epoca dominata dalle parole d’ordine del Partito. Anche se l’immaginazione è sempre più forte della realtà. E una ragazzina capace di inventare su due piedi storie mirabolanti, altra scena memorabile, sarà sempre più forte di un padre disperato ma meno fantasioso. Almeno fino a quando i due non capiranno che la loro battaglia, Mao o non Mao, è la stessa.
Fabio Ferzetti, L’Espresso