20/11/2020 - 21/11/2020
Proiezione unica ore 21
EVENTO ANNULLATO per DPCM 24 ottobre
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Regia: Mounia Meddour Gens
Interpreti: Lyna Khoudri, Shirine Boutella, Amira Hilda Douaouda, Zahra Doumandji, Yasin Houicha, Nadia Kaci, Meryem Medjkane
Origine: Francia, Argentina
Anno: 2019
Soggetto: Fadette Drouard
Sceneggiatura: Mounia Meddour Gens
Fotografia: Léo Lefèvre
Musiche: Rob
Montaggio: Damien Keyeux
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 105
Donne oppresse e in cerca di riscatto, consapevoli del proprio ruolo in una società patriarcale, determinate a non rinunciare a sogni e ambizioni.Questo racconta Non conosci Papicha di Mounia Meddour Gens, documentarista al suo primo film di finzione, che ci porta nell’Algeria del 1997, durante la cosiddetta Decade Nera, quando il fondamentalismo islamico fece oltre 150mila vittime nel Paese. La giovane e intraprendente Nedjma frequenta l’università, studia per diventare una stilista ed esce di nascosto la sera con la sua migliore amica, attirandosi la condanna di chi disprezza le donne in cerca di libertà. Il tentativo di allestire la sua prima sfilata viene infatti visto come un affronto da chi predica l’intolleranza religiosa e la violenza contro chi si ribella a regole ottuse, capaci di trasformare le stesse donne in carnefici. La regista costruisce un film teso, complesso, ricco di pathos e tenerezza, sostenuto da uno straordinario cast di attrici guidato da Lina Koudri, che diventa il simbolo non della militanza politica, ma della resistenza in nome del diritto a esistere. «Mi interessava restituire la complessità della situazione attraverso caratteri molto diversi tra loro – commenta la regista – perché anche le amiche si fanno del male, sbagliano, mentono, si tradiscono e finiscono per accettare le logiche assurde di uomini violenti, come accade anche a donne in contesti completamente diversi. Libertà, passione, oppressione sono temi universali con i quali tutti possono relazionarsi».
Alessandra De Luca, Avvenire
Nedjma è una ragazza giovane che ama la moda, nel senso che vorrebbe diventare stilista. Che problema c’è? Che vive nell’Algeria degli anni Novanta, dove il fondamentalismo religioso combatteva, anche uccidendo, chi sceglieva uno stile di vita meno rigoroso. Figuriamoci lei, studentessa universitaria di francese che, di sera, esce di nascosto dal dormitorio (con alcune sue compagne), si cambia di abito e va a ballare, vendendo, nei bagni dei locali, le sue produzioni sartoriali. Una che ama dire quello che pensa, ma che, in quanto donna, viene guardata male (per non dire peggio) anche da molte sue coetanee che, invece, hanno abbracciato il loro ruolo predestinato di suddite dell’universo maschile. Il film si limita a entrare nel quotidiano di Nedjma (soprannominata Papicha) e delle sue amiche mostrando, in un crescendo di tensione (una sfilata, simbolo della sua battaglia di libertà), a cosa possa portare questo coraggio di opporsi, tra tentativi di stupro, gravidanze inaspettate, (at)tentati omicidi. Non servono tante parole o prese di posizione. Bastano le immagini per far scattare, in chi è seduto in platea, un naturale coinvolgimento per le sorti della coraggiosa ragazza. Una giovane che, in un altro contesto, avrebbe potuto coltivare i suoi sogni, senza problemi, ma che, in questa realtà, viene individuata come una minaccia dal nuovo regime, una anomalia da estirpare, costi quel che costi, perché il fondamentalismo cieco, qualunque esso sia, non ammette pecore nere. Una storia singolare per raccontare quello che capitò in quel «Decennio Nero» algerino, con circa 150mila morti e almeno 7mila dispersi. Bravissima la regista Mounia Meddour Gens nel girare una pellicola coinvolgente, senza pescare dalla facile retorica, ma, semplicemente, affidandosi ai fatti. A lei, si aggiunge anche la straordinaria protagonista, Lyna Khoudri (al suo terzo film) che riesce a immedesimarsi totalmente nel suo personaggio, facendolo entrare nella pelle dello spettatore. Da notare che Non conosci Papicha è attualmente bandito in patria, per motivi che il governo algerino non ha mai chiarito. Un manifesto della ribellione.
Maurizio Acerbi, il Giornale