La strada dei Samouni


30/11/2018 - 01/12/2018

Proiezione unica ore 21

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Regia: Stefano Savona
Interpreti:
Origine: Italia
Anno: 2018
Soggetto:
Sceneggiatura: Stefano Savona, Léa Mysius, Penelope Bortoluzzi
Fotografia: Stefano Savona
Musiche: Giulia Tagliavia
Montaggio: Luc Forveille
Produzione: Picofilms, Rai Cinema, Alter Ego Productions, Arte France Cinéma
Distribuzione: Cineteca di Bologna
Durata: 128


«Una fiaba nera, cruenta e ingiusta come quasi tutte le fiabe». Così Stefano Savona definisce La strada dei Samouni in un testo pubblicato sulla rivista Gli Asini (n. 52, giugno 2018), film premiato a Cannes con l’Oeil d’or per il miglior documentario e adesso distribuito in Italia dalla Cineteca di Bologna: è una fiaba perché «rammenda con un filo fragile e spesso di un altro colore il tessuto della trasmissione della memoria, la trama del tempo quando questa si lacera o semplicemente si consuma nell’uso quotidiano» ed è «nera, cruenta e ingiusta» perché ricostruisce uno degli episodi più tragici dell’operazione «Piombo fuso» nella striscia di Gaza – l’uccisione di 29 membri della famiglia Samouni, nel gennaio 2009 – quello che porterà l’Onu ad accusare di crimini di guerra Israele (con il «Rapporto Goldstone») e spingerà lo stesso esercito israeliano ad aprire un’inchiesta per accertare le responsabilità di quanto accaduto.
Savona era stato uno dei pochissimi stranieri presenti a Gaza durante l’operazione militare israeliana, e aveva realizzato con la sua telecamera un diario quotidiano in rete dell’ultima settimana di guerra (poi confluito nel suo documentario Piombo fuso). Aveva conosciuto allora i sopravvissuti della famiglia Samouni e iniziato una frequentazione cresciuta negli anni insieme alla convinzione che «quelle storie avrei certo dovuto raccontarle, ma in una maniera e con una temporalità completamente diversa da quella delle testimonianze di guerra». Perché il problema era questo: come si ricostruisce un fatto di cronaca? Ed è qui che la forza emotiva del film prende forma grazie alla riflessione sui modi con cui la si può esprimere senza tradire la verità, senza edulcorarla o stravolgerla, per cercare di scoprire come il cinema può raccontare la Storia e insieme «rammendare la trama smagliata del tempo».
Per farlo Stefano Savona ricorre a tre generi diversi – l’inchiesta documentaria, il disegno animato e la ricostruzione in 3D –, mescolando tre stili esteticamente lontanissimi l’uno dall’altro e però perfetti per restituire la complessità di quanto accaduto.
Il film inizia a colori con le immagini del quartiere Zeitoun di Gaza oggi, ancora segnato dalle ferite dei combattimenti, mentre la piccola Amal cerca nella memoria i ricordi di quello che era accaduto. Con lei parlano altri sopravvissuti – il fratello Faraj e la sua promessa sposa, lo zio Abu Salah, la cugina Muna – e le loro dichiarazioni colpiscono per la concretezza e la durezza di come raccontano la difficoltà della sopravvivenza, la fatica quotidiana, la fine dei sogni e delle illusioni su cui avevano progettato il loro futuro. Nessuna ideologia, nessuna rivendicazione o recriminazione politica: solo fatti. Ma come raccontare quello che era successo nel 2009 dal punto di vista dei Samouni, quando la guerra era entrata con tanta violenza nelle loro vite? Una semplice ricostruzione atrtraverso le tradizionali forme della fiction sarebbe stata inadeguata: «rifare» il passato avrebbe finito per stridere con la forza delle parole dei sopravvissuti. E così è nata l’idea di affidare il resoconto di quello che avevano subito le vittime a Simone Massi e alla sua scuola di animazione, che sembra far nascere le immagini scavando nella trama nera dei pastelli. Dichiarando subito la distanza dalle immagini documentarie dell’inizio, per ritrovare la durezza di quelle tragiche giornate attraverso la forza del disegno.
A questo punto mancava solo la ricostruzione delle azioni dell’esercito istraeliano che Savona ha ricostruito in 3D, nel grigiore delle immagini video, così come erano state viste dall’occhio dei droni, accompagnate da una voce off che ripete i dialoghi registrati (e quindi reali) che mettevano in collegamento i soldati con i superiori. Ecco, La strada dei Samouni è tutto questo: un documentario, una ricostruzione testimoniale e una invenzione poetica, ma il risultato è un’opera emozionante e sconvolgente, bellissima e dolorosa, che usa la forza del cinema e delle sue diverse facce per riannodare le trame smagliate della memoria.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera