La sedia della felicità


21/11/2014 - 22/11/2014

Proiezione unica ore 21

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Un impossibile “documentario fantastico” sul nostro irriconoscibile Nordest. Una commedia svitata zeppa di figure strampalate e folgoranti. Uno sfrenato giallo comico, ispirato a un romanzo russo già usato fra gli altri da Mel Brooks. Ma soprattutto un’esilarante “summa” del cinema di Carlo Mazzacurati, che dai tempi di Notte italiana, 1987, non ha mai smesso di cercare tesori nascosti nell’infinita provincia italiana.

Crudele paradosso: il film più vitale della stagione lo ha fatto un regista scomparso nel frattempo. Che però qui trova una foga e insieme una grazia destinate a moltiplicare il divertimento e il rimpianto. La motivazione del Premio alla carriera assegnatogli dall’ultimo Festival di Torino parlava del suo amore per «i vizi e le intuizioni» di un popolo sempre più «confuso e disperato»: il nostro. Ma per Mazzacurati, qui più che mai, disperazione fa rima con azione. E i suoi personaggi non stanno mai fermi, come nelle grandi “screwball comedies” anni Trenta.

Ecco dunque il tatuatore Valerio Mastandrea, arenato a Jesolo chissà perché, che a forza di incidere epidermidi inizia a intuire cosa nascondono i suoi clienti, come uno psicanalista selvaggio. Ecco l’estetista siciliana Isabella Ragonese, altra “spostata” esperta in sogni e frustrazioni, sentirsi svelare da una criminale in punto di morte (Katia Ricciarelli) dove ha nascosto uno scrigno di gioielli. Morale: il tatuatore e l’estetista, uniti dal caso, si lanciano in una folle caccia al tesoro tra antiche ville abbandonate, officine diventate ristoranti cinesi, preti assatanati e disinibiti (Giuseppe Battiston).

E poi maghi cialtroni, archiviste sadomaso, pescivendoli incomprensibili, anziane veggenti malate, banditori di aste tv, montanari pittori naif, quadri dipinti dai montanari naif, in un crescendo a cui partecipa con affetto mezzo cinema italiano (Albanese, Vukotic, Orlando, Bentivoglio, Citran…). Con una leg-gerezza che ignora la satira, palla al piede di tanti film nostrani, per rischiare la pura invenzione. Vedi l’epilogo, che insinua in tanta frenesia un brivido addirittura metafisico. Mai “testamento” fu più scanzonato. E profetico, se davvero Mazzacurati voleva conciliare «il senso di catastrofe, verso cui tutti stiamo correndo, con l’energia e la voglia di riscatto che nonostante tutto si sente in Italia».

(Fabio Ferzetti – Il Messaggero)

 

(…) Ma di che si tratta? In prima battuta si tratta di ritrovare un set di sedie dall’incredibile forma di elefante, orrendamente pacchiane. Ma le sedie sono state disperse. I nostri cacciatori le trovano una ad una, ne squartano ansiosi l’imbottitura. Ma niente, non trovano niente. Resta ancora l’ultima, finita nelle mani di due fratelli montanari, cui manca più di una rotella, isolati su una remota malga dolomitica, uno dei due pittore naif. È lassù che si celebrerà un finale pazzamente fiabesco, drammatico (per la fine che fa il prete), teneramente sentimentale per Dino e Bruna. Il racconto si frammenta in mille deviazioni e derivazioni animate da una folla di personaggini che restano incisi nella memoria, dal mago Kasimir, squallido e volgare cialtrone (Raul Cremona) all’esotico fioraio del cimitero (Marco Marzocca). O il rozzo fornitore dei macchinari del negozio di Bruna (Natalino Balasso), con i dipendenti rumeni che, dice, «non sono abituati» a contratto e contributi. O, ancora, la signora veggente (deliziosa Milena Vukotic) che il prete assatanato tormenta. In mezzo a questa folla si affacciano quasi tutti gli attori che hanno accompagnato la storia artistica di Carlo Mazzacurati. Roberto Citran (il pescivendolo incomprensibile), Antonio Albanese, Fabrizio Bentivoglio e Silvio Orlando nei panni di due miserabili banditori di asta televisiva.

Mazzacurati ha lasciato alcune parole introduttive allo spirito del suo film. «Volevo anche che l’umanità di questo racconto emergesse a volte attraverso le forme del grottesco a volte in toni più lirici, ma la cosa che più mi stava a cuore era di riuscire a tenere insieme il senso di catastrofe, in cui sembra che tutti stiamo cadendo, con l’energia e la voglia di riscatto che nonostante tutto si sente nell’aria». Grazie per questa fiaba senza capo né coda, indicativa di un sentimento che ha permeato tutta l’opera di Mazzacurati: di viva preoccupazione e di appassionata partecipazione ai guai delle persone e del mondo, ma anche di incrollabile fiducia nelle risorse umane e soprattutto di quell’umanità che più è sgomenta e poco attrezzata, che più è sospinta ai margini dei grandi movimenti della Storia.

(Paolo D’Agostini – La Repubblica)

 

Regia: Carlo Mazzacurati; Interpreti: Valerio Mastandrea (Dino), Isabella Ragonese (Bruna), Giuseppe Battiston (Padre Weiner), Katia Ricciarelli (Norma Pecche), Raul Cremona (Mago Kasimir), Marco Marzocca (Fioraio), Milena Vukotic (Armida Barbisan), Roberto Citran (Pescivendolo), Mirco Artuso (Bepin Lievore), Roberto Abbiati (Giani); Origine: Italia; Anno: 2013; Sceneggiatura: Doriana Leondeff, Marco Pettenello, Carlo Mazzacurati; Fotografia: Luca Bigazzi; Musica: Mark Orton; Montaggio: Clelio Benevento; Produzione: Angelo Barbagallo per Bibi Film con RAI Cinema; Distribuzione: 01 Distribution (2014); Durata: 90’