Il meglio deve ancora venire


07/05/2021 - 08/05/2021

Ore 19.30 - Termine proiezione ore 21.30

Acquista i biglietti


Regia: Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaport
Interpreti: Martina Garcia, Fabrice Luchini, Thierry Godard, Patrick Bruel, Zineb Triki, Lilou Fogli, Pascale Arbillot
Origine: Francia
Anno: 2019
Soggetto:
Sceneggiatura:
Fotografia: Guillaume Schiffman
Musiche: Jérôme Rebotier
Montaggio: Célia Lafitedupont, Sarah Ternat
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 117


Non si tratta di essere esterofili o di guardare, con nostal-gia, al giardino verde del vicino. I francesi, almeno a livello di commedia, ci sono anni luce avanti, costringendoci, il più delle volte, a rincorrere con dei (spesso, pessimi) rifacimenti. Per dire, Alexandre de la Patellière e Matthieu Delaporte hanno scritto e (a volte) anche diretto, per i cugini, Una cena tra amici (rifatto dalla Archibugi) e la serie Papa ou Maman (qualcuno, ricorderà il brutto adattamento Mamma o Papà? con Albanese e la Cortellesi), solo per citarne un paio. E la coppia ha colpito ancora con questo Il meglio deve ancora venire, interpretato da due cavalli di razza come Fabrice Luchini e Patrick Buel. Della serie: ti piace vincere facile. I due, nel film (non si accettano scommesse sul quasi garantito futuro remake italiano), sono amici da lungo tempo, ovvero da quando frequentavano il collegio. Il primo, ormai separato dalla moglie e con scarsa empatia con la figlia, è molto rigido nel suo approccio con il prossimo. L’altro, è il classico eterno Peter Pan che vive senza preoccuparsi di quello che gli accadrà domani. Luchini scopre, per un malinteso al pronto soccorso, che l’amico ha un tumore terminale. Dovrebbe dirglielo, ma il suo modo goffo di comunicare crea il malinteso. Buel così si convince che sia l’altro ad essere ammalato e si prodiga per fargli vivere e realizzare quelli che potrebbero essere i suoi ultimi desideri. Detto così, sembrerebbe una sorta di drammone ricattatorio che sfrutta la morte per strappare qualche lacrima. In realtà, la bella sceneggiatura, alla quale si possono perdonare due-tre scivolamenti evitabili, è un grande inno alla vera amicizia, sentimento sempre più raro, checchè se ne dica o pensi. Che siano due uomini che, in più di una occasione, mettono da parte la loro virilità per far trionfare il sentimento, è la mossa azzeccata, supportata da due protagonisti, non solo bravissimi, ma perfettamente credibili nei panni di amici di lunga data e affiatati. Si sorride, si riflette, ci si immedesima. Il cinema, in fondo, non dovrebbe, sempre, fare questo?
Maurizio Acerbi, il Giornale

Sono storie che riescono solo ai francesi. Intesi come registi e sceneggiatori. Qui, la coppia Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, che nel 2010 aveva scritto Le prénom. Gran successo sui palcoscenici parigini, dove la forma commedia ancora prospera e incassa (prima del Covid, speriamo riprenda presto). Non è un dono del cielo, né una bizzarria locale: sanno inventare trame e rivestirle di battute. Cena tra amici era il titolo italiano del film tratto dalla pièce, diretto dalla coppia medesima. Una cena che va in aceto quando un marito e una moglie (forniti di qualche soldo, quindi considerati di destra da chi insegna all’università in maglione e pantaloni di velluto a coste) annunciano che chiameranno il figlio Adolphe. Non Adolf, precisano, ma gli altri sono già sul piede di guerra – e viene fuori un massacro niente male. Lo stesso gusto per la commedia costruita sulle più serie faccende della vita (così dovrebbe essere, ma gli italiani sono indietro: i rari esempi pervenuti di risatacce nere stanno nel film di Pietro Castellitto I predatori) regge Il meglio deve ancora venire. Fabrice Luchini e Patrick Bruel sono amicissimi dai tempi della scuola, anche se il primo era un allievo e poi un cittadino diligente e il secondo un cialtrone dotato di parlantina. I nodi vengono al pettine, nella prima scena del film si vede sequestrare la bella macchina e il bell’appartamento. Si butta dalla finestra, atterra su un cespuglio, serve una radiografia. Ovvio che non ha la tessera sanitaria. Usa quella dell’amico, che qualche giorno dopo viene chiamato dall’ospedale. La situazione è grave, pochi mesi di vita. Trasferire l’informazione all’interessato è difficile, su questo si innestano gli equivoci. Il finale è forse un po’ dolciastro, con la sua dose di correttezza politica (del tutto assente in Cena tra amici). Ma gli attori sono bravissimi, e attorno all’idea di partenza i due registi-sceneggiatori inventano tutto quel che possono. In materia di fede, suggeriscono: rivolgi le tue preghiere al Dio che preferisci. Anche a più d’uno, per sicurezza.
Mariarosa Mancuso, il Foglio