Il medico di campagna


24/03/2017 - 25/03/2017

Proiezione unica ore 21

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Regia: Thomas Lilti
Interpreti: François Cluzet (Jean-Pierre Werner), Marianne Denicourt (Nathalie Delezia), Isabelle Sadoyan (Madre di Werner), Félix Moati (Vincent Werner), Christophe Odent (Norès)
Origine: Francia
Anno: 2016
Soggetto: Thomas Lilti, Baya Kasmi
Sceneggiatura: Thomas Lilti, Baya Kasmi
Fotografia: Nicolas Gaurin
Musiche: Alexandre Lier, Sylvain Ohrel, Nicolas Weil
Montaggio: Christel Dewynter
Produzione: 31 Juin Films, Les Films du Parc
Distribuzione: BIM
Durata: 102'


Vedendo Il medico di campagna di Thomas Lilti si capisce subito che il legame tra il regista e la professione medica non è casuale o frutto solo di una qualche professionalità, sanitaria o cinematografica che sia (Lilti ha esercitato la professione prima di passare alla regia). C’è qualcosa di diverso che si respira lungo il film e che “esce” dallo schermo: è un’empatia, una sintonia, una complicità verrebbe quasi da dire, che alla fine si rivela la vera arma vincente del film, capace di andare al di là della storia che racconta per trasformarsi in una specie di accorata perorazione intorno alla professione medica e alla sua missione.
E non solo. Perché le vicende narrate offrono al film un respiro più ampio e ambizioso, che lo indirizza verso la descrizione di una condizione sociale che parla della desertificazione delle campagne, della crisi della professione medica in queste zone, della complessità “antropologica” di chi vive in quelle condizioni e deve fare i conti con problemi non semplici da affrontare (handicap, paure, ignoranza), in generale di un mondo che non solo il cinema ma anche i media tendono a dimenticare e che invece ha una sua urgente e drammatica attualità.
A tenere insieme tutto questo è la figura di Jean-Pierre Werner, medico in Val d’Oise ai confini con la Normandia, sufficientemente lontano da Parigi ma anche dalle risorse della regione confinante per dover fare i conti quotidianamente con la scarsità delle strutture, la lontananza dei centri di primo intervento e una dispersione abitativa che discende dalla vocazione eminentemente agricola della regione.
Il suo lavoro quotidiano è fatto di lunghi viaggi in macchina per raggiungere i malati che non possono spostarsi e poi di visite nel suo studio dove la “diagnosi” diventa l’occasione per affinare una capacità di ascolto che travalica i puri elementi medicali per trasformarsi in un aiuto psicologico prima che sanitario. E che proprio all’inizio del film viene messo in crisi dalla scoperta di un tumore (inoperabile) che lo costringerà a faticanti sedute di chemioterapia.
E così il dottor Werner, cui Francois Cluzet offre tutta la sua sensibilità di interprete, sospeso tra l’orgoglio della missione e i problemi della malattia, deve fare i conti per la prima volta con un aiuto – donna per giunta – che gli manda il suo superiore, la dottoressa Nathalie Delezia (Marianne Denicourt), ex infermiera diventata medico e come Jean-Pierre per niente attratta dalle carriere negli ospedali o le grandi città.
Inizia così un doppio confronto – con i pazienti e con l’“altro” medico – che contribuisce a rendere ancora più umano e profondo il film. Perché entrambi hanno le loro ruvidezze e asperità e si portano dentro vite private non proprio esaltanti (Werner è divorziato e ha un figlio architetto che sente poco, Nathalie ha allontanato un uomo che evidentemente non le faceva del bene, come confessa a una ragazza che vive la sua stessa situazione sentimentale), ma entrambi sono sinceramente attratti da una professione impegnativa cui dedicano tutte le loro forze. Aiutando così lo spettatore ad aprire gli occhi sui problemi socio-politici che patiscono quelle zone.
Sceneggiato dal regista insieme a Baya Kasmi, il film sembra recuperare quella tradizione di titoli impegnati ma non dichiaratamente militanti che avevano fatto l’ossatura del cinema francese medio negli anni Settanta, quando si poteva leggere in filigrana il retroterra politico che guidava i comportamenti dei vari personaggi. Ed ecco allora il sindaco Maroini (Patrick Descamps) le cui mire e ambizioni prendono forma attraverso l’ironia e il sarcasmo che Werner gli riserva o la solitudine e il bisogno di aiuto di Alexis (Yohann Goetzmann) che Nathalie scopre attraverso le sue fissazioni militari e le sue ingenue attenzioni. Ma non ci sono personaggi che prendono il sopravvento sugli altri o situazioni più importanti di altre, e anche la lotta di Werner con la malattia e l’apprendistato sul campo con cui si confronta Nathalie rientrano in un quadro più ampio, quello della descrizione di un mondo marginale, conscio dei propri limiti e dei propri problemi, che Lilti racconta con delicatezza e passione.

(Paolo Mereghetti – Il Corriere della Sera)