Il corriere


08/03/2019 - 09/03/2019

Proiezione unica ore 21
presentato in Dolby Surround 7.1

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Regia: Clint Eastwood
Interpreti: Clint Eastwood, Bradley Cooper, Taissa Farmiga, Michael Peña, Laurence Fishburne, Ignacio Serricchio, Alison Eastwood, Dianne Wiest, Robert LaSardo, Lobo Sebastian, Andy Garcia, Dylan Kussman
Origine: Stati Uniti
Anno: 2018
Soggetto:
Sceneggiatura: Nick Schenk
Fotografia: Yves Bélanger
Musiche:
Montaggio: Joel Cox
Produzione: Warner Bros. Pictures
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Durata: 116


Il cinema ad ampio spettro di Clint Eastwood ha incontrato spesso il tema delle vite ribaltate da un incidente, un crac emotivo, un inciampo che fa uscire dai cassetti risorse, riflessioni decisive per cambiare in extremis le carte in tavola. Con lo schema di Gran Torino, lontano dal flop di Ore 15:17 – Attacco al treno, ecco allora l’incredibile storia di Earl Stone, floricoltore novantenne dell’Illinois, coltivatore di fiori da un giorno, veterano di guerra, onesto, civile, obbediente. Un uomo tranquillo a cui un giorno il business rovina addosso e deve cercarsi un’altra occupazione. Nel Midwest sotto la tempesta della crisi le industrie crollano e il cocciuto floricoltore che diffida della tecnologia e non sa scrivere sms è costretto a vendere la casa. Moglie e figlia (Dianne Wiest e Allison Eastwood) non lo sopportano più.
Gli resta solo il pick-up con cui ha raggiunto 41 Stati su 50 senza mai prendere una multa. Earl si sente tradito, vede cadere a pezzi i valori in cui ha creduto e sceglie il peggio diventando un postino della droga per una gang di narcotrafficanti messicani guidata da un boss tardo edonista (Andy Garcia). Si tratta di trasportare grosse partite di stupefacenti dal Texas a Chicago. Tutto nasce da un articolo del New York Times che segnalava la curiosa vicenda dell’anziano «mulo» divenuto corsaro, un criminale d’occasione in cerca di alibi per la coscienza: mi sistemo e mollo tutto. I principi rimessi in discussione si specchiano nella rincorsa del poliziotto Bradley Cooper.
Ma l’intera storia ha uno svolgimento politicamente scorretto: tutti siamo indulgenti con nonno cocaina, benché scorbutico e fuorilegge. Si entra come in un vortice emotivo dove tutto sembra lecito e possibile, con un doppio punto di vista che segue l’estetica di Eastwood: la lepre in fuga e il cacciatore/detective che la insegue. Esce il ritratto di un anziano, per troppo tempo prigioniero delle convenzioni e di una felicità indotta, che in extremis butta all’aria le regole, inverte la rotta, dimentica la generosità con cui ha mascherato molti fallimenti anche familiari e sceglie di essere egoista, bugiardo e arraffone. Un signorsì che diventa signornò, lasciando da parte l’idea patriottica che c’è ancora un grande Paese da difendere. Le canzoni di Frank Sinatra e i motel. Un viaggio di liberazione tra neri, messicani, avanzi di galera, reietti, lesbiche e gay. È questo correr via, questo carpe diem finale che dà al film un’impronta country, malinconica, scapigliata. Il segno del miglior Eastwood.
Paolo Baldini, Corriere della Sera

Fermate il tempo; anzi riavvolgetelo. Questo non può essere il canto del cigno di quel grande artista che risponde al nome di Clint Eastwood. Eppure, The Mule, da lui girato e magnificamente interpretato a 88 anni, pellicola di una bellezza disarmante, ha tutte le caratteristiche del testamento artistico dettato dal grande Clint. Perché dietro il soggetto (sceneggiato da Nick Schenk, guarda caso quello di Gran Torino), peraltro tratto da una storia vera, del vecchietto che per arrotondare si trasforma in un corriere della droga di un cartello messicano (Andy Garcia, divino), c’è il pretesto per tracciare il bilancio della sua vita. Che sembra negativo, ma fino a un certo punto. Qui, il suo Earl Stone è amareggiato per aver sacrificato la propria famiglia sull’altare del lavoro e dei piaceri. «Sono stato un pessimo padre, un pessimo marito. Pensavo fosse più importante essere «qualcuno» da un’altra parte, invece del fallimento che ero a casa mia». Concetto che ripete più volte anche all’agente della DEA che lo sta braccando (un bravissimo Bradley Cooper, al quale Eastwood sembra porgere il testimone). Una scelta della quale lo stesso Clint fa ammenda. Non usando toni drammatici, ma, quasi, alleggerendo il personaggio con un’ironia tipica di chi, ormai anziano, senza peli sulla lingua, si senta in diritto di dire e fare quello che vuole, anche apostrofare i suoi interlocutori con «lesbiche» e «negri», alla faccia del politicamente corretto. Un film che stende un ponte tra passato e futuro, ripetutamente ribadito con la sua critica all’uso dei telefonini o con la sostituzione del vecchio camioncino con uno più moderno. Durante le scorribande, con i carichi di droga (attenzione anche alle scene con la polizia, mai banali), scopriamo che la figlia (interpretata proprio da Alison Eastwood) non gli rivolge la parola da dodici anni e l’ex moglie (superba Dianne Wiest) lo detesta; solo la nipote sembra sopportarlo. Riuscirà a ricucire i rapporti, con il fiato sul collo di DEA e dei nuovi boss dei cartelli? Un film che meritava almeno sette-otto Nomination e che, invece, è rimasto a mani vuote. Poco male. L’affetto di chi ama Clint vale ben più di una statuetta. E, se possibile, clonatelo.
Maurizio Acerbi, Il Giornale