First Man – Il primo uomo


07/12/2018 - 08/12/2018

Proiezione unica ore 21

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Regia: Damien Chazelle
Interpreti: Ryan Gosling - Neil Armstrong, Claire Foy - Janet Shearon, Jon Bernthal - Dave Scott, Pablo Schreiber - Jim Lovel, Kyle Chandler - Deke Slayton, Jason Clarke - Edward Higgins White, Christopher Abbott , Shea Whigham - Gus Grissom, Corey Stoll - Buzz Aldrin, Patrick Fugit - Elliott See, Lukas Haas - Mike Collins, Cory Michael Smith - Roger Chaffee, Brian d'Arcy James - Joseph A. Walker, Brady Smith - Butch Butchart, Perla Middleton - Segretaria della NASA, J.D. Evermore - Chris Kraft, Olivia Hamilton - Pat White, Philip Boyd - Reporter, Steve Coulter - Guenter Wendt, Anna Chazelle - White House Staffer, William Gregory Lee - Gordon Cooper, Kris Swanberg - Marilyn See
Origine: Stati Uniti
Anno: 2018
Soggetto: libro 'First Man: The Life of Neil A. Armstrong' di James R. Hansen
Sceneggiatura:
Fotografia: Linus Sandgren
Musiche: Justin Hurwitz
Montaggio: Tom Cross
Produzione: Dreamworks
Distribuzione: Unviersal
Durata: 141


Comincia bene la Mostra sbarcando sulla Luna sul passo di colui, il mitico Neil Armstrong, che per la prima volta – era il 20 luglio 1969 e la scena fu seguita da una platea di quattrocento milioni di spettatori incollati al piccolo schermo in ogni angolo del mondo – vi mise piede. Non solo perché la rievocazione della straordinaria impresa ci ricorda – e Dio solo sa se non ne abbiamo bisogno in questo periodo di gnomi allo sbaraglio – quanto l’uomo (e di conseguenza la politica) possa essere grande per visione e coraggio; ma soprattutto perché First Man, che pure ha ricevuto alla proiezione stampa accoglienza tiepida, è un film destinato a restare.
Sulla base dell’essenziale sceneggiatura che il bravo Josh Singer di Spotlight ha tratto dalla fluviale biografia First Man: The Life of Neil Armstrong di James R. Hensen (2005), Damien Chazelle ha realizzato un’opera quarta che lo conferma uno degli autori più interessanti della nuova generazione. Passando dal (finto) musical La La Land alla (finta) avventura spaziale First Man, il trentatreenne regista ha cambiato il genere ma non la tematica: al centro della storia c’è ancora una volta un individuo – che sia un jazzista o un cosmonauta poco importa – impegnato con adamantina concentrazione a vincere una sfida: costi quel che costi, e non per denaro o mera ambizione bensì per passione, vocazione, motivazione profonda.
Come la Los Angeles odierna di La La Land era intrisa di nostalgia del passato, così il microcosmo Anni 60 della Nasa è ricostruito attingendo a un composito immaginario cinematografico che va da Kubrick a Malick. E il tutto è assorbito e reinventato con originalità e naturalezza: Chazelle crede nella forza di un personaggio e di una storia e in Ryan Gosling, attore insieme modernissimo e classico, ha trovato l’interprete ideale e un alter ego.
Alessandra Levantesi Kezich, La Stampa

La determinazione che guida il protagonista è sempre la stessa, ma rispetto agli altri film di Damien Chazelle (Whiplash e La La Land) cambia lo stile della messa in scena e soprattutto l’empatia. In First Man (Il primo uomo), scelto per inaugurare la settantacinquesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia il rigore e l’autocontrollo del protagonista – Neil Armstrong, il primo uomo a mettere piede sulla Luna – contagiano la regia, controllatissima e essenziale nel suo stare addosso al volto di un astronauta che Ryan Gosling interpreta con una bella prova tutta in sottrazione.
Bisogna anche dire che probabilmente Chazelle non aveva altre strade. Per una volta non c’è pericolo di spoileraggio: che l’uomo è arrivato sulla Luna lo sanno anche i sassi (escluso forse qualche simpatico campione di complottismo) e quindi al centro del film non poteva che esserci il modo in cui un pilota era stato scelto e si era preparato a quella straordinaria impresa. La durezza di quell’allenamento il film ce la mostra dalle primissime immagini, quando solo il sangue freddo di Armstrong riesce a rimettere in linea l’aereo-razzo X-15 che sta collaudando e che lo schermo racconta attraverso le vibrazioni e le turbolenze che la fotografia di Linus Sandgren sa restituire così magistralmente.
Poi, a partire dal 1961, ecco il lungo apprendistato alla Nasa di Houston per arrivare a essere scelto come capitano della missione Apollo 11, quella che il 20 giugno 1969 lo portò insieme ad Aldrin a passeggiare sul suolo lunare, mentre Collins rimaneva a bordo della navicella che li avrebbe riportati a terra. La missione, però, occupa solo gli ultimi scampoli di un film che dura 135’. Tutto il resto è diviso tra l’addestramento e la vita familiare di Armstrong accanto alla moglie Jan (Claire Foy) e i figli, dove difficoltà e dolori quotidiani vanno di pari passo con quelli dell’addestramento.
È la scelta (vincente) della messa in scena, che sembra tirarsi indietro anche di fronte alla più tradizionale delle immagini, quella dell’immenso spazio celeste che le tecnologie digitali permetterebbero di mostrare. Chazelle preferisce «rinchiudere» la macchina da presa nell’abitacolo spaziale, offrendo allo spettatore la medesima poca vista che avevano gli astronauti ma in questo modo trasmettendo quelle insicurezze e quel senso di impotenza che nasceva di fronte a ogni piccolo problema. E così, invece dell’epica, il film crea tensione e suspense.
Paolo Mereghetti, Il Corriere della Sera