È stata la mano di Dio


25/02/2022 - 26/02/2022

Proiezione unica ore 21

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Regia: Paolo Sorrentino
Interpreti: Filippo Scotti - Fabietto Schisa, Toni Servillo - Saverio Schisa, Teresa Saponangelo - Maria Schisa, Marlon Joubert - Marchino Schisa, Luisa Ranieri - Patrizia, Renato Carpentieri - Alfredo, Massimiliano Gallo - Franco, Betti Pedrazzi - Baronessa Focale, Biagio Manna - Armando, Ciro Capano - Capuano, Enzo Decaro - San Gennaro, Lino Musella - Mariettello, Sofya Gershevich - Yulia, Carmen Pommella - Annarella, Paolo Spezzaferri - Prete anziano, Rossella Di Lucca - Daniela, Antonio Speranza - Carabiniere, Dora Romano - Signora Gentile, Lubomir Misak - Americano, Cherish Gaines - Americano, Alfonso Perugini
Origine: Italia, Stati Uniti
Anno: 2021
Soggetto: Paolo Sorrentino
Sceneggiatura: Paolo Sorrentino
Fotografia: Daria D'Antonio
Musiche: Lele Marchitelli
Montaggio: Cristiano Travaglioli
Produzione: The Apartment
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 130


Il Sorrentino che parla da Napoli è il Sorrentino più convincente, sempre. Sin da L’uomo in più – esordio maiuscolo – il regista ha rivelato una sintonia sovrannaturale fra il suo sguardo e Napoli. È stata la mano di Dio conferma che quando Sorrentino asseconda il suo afflato popolare e lascia correre la sua affabulazione si offre come la versione più alta e convincente di un cinema popolare d’autore che ha sempre fatto la forza della nostra produzione nazionale. Non c’è nulla fuori posto in questo film autobiografico. Non un fotogramma di troppo. E la commozione è gestita con straordinaria sapienza antiretorica. Non sempre abbiamo seguito l’autore nelle sue esplorazioni formali. Ma qui il risultato è magistrale. Forse l’apice di una produzione che inevitabilmente sarà letta tutta alla luce di questo film incredibile.
Giona A. Nazzaro, FilmTV

A chi credere? A Fellini e al suo «la realtà è scadente» oppure a Capuano convinto che «la fantasia e la creatività sono falsi miti»? Il cuore del nuovo film di Paolo Sorrentino è tutto qui, nel modo in cui si sceglie di affrontare e raccontare la realtà. Perché di realtà, in È stata la mano di Dio, ce n’è davvero molta, a cominciare dalla morte dei genitori (Toni Servillo e Teresa Saponangelo, perfetti) per una fuga di gas nella casa di campagna che trasformò l’insicuro adolescente Fabietto (Filippo Scotti, una scoperta) in un orfano. Esattamente quello che successe al diciassettenne Paolo Sorrentino, costretto a decidere della propria vita non per volontà ma per il tragico gioco del destino.
Ma si sbaglierebbe a vedere nel film solo una autofiction, quasi a elaborare una mancanza che il regista si porta dentro e che ogni tanto riemerge nei suoi film. Qui, fondamentale, è anche la riflessione sulla propria carriera, il proprio cinema e soprattutto le scelte di stile che hanno imposto la sua «immagine di marca». Ed è proprio questo intreccio strettissimo tra biografia ed estetica a fare la forza inedita del film, insieme al suo carico di sincerità. Che sorprende se si pensa che Sorrentino si è conquistato popolarità e riconoscimenti (tra cui un Oscar, non dimentichiamolo) proprio affidandosi a una messa in scena lussureggiante e molto autoritaria — diciamo così — che invece qui cancella, alla ricerca di una essenzialità e una efficacia inedita.
Come si sente cantare nell’ultima scena, «Napule è mille culure» e il film ce ne mostra molti, tutti lontani da quella «convenzionalità» che Fellini venuto a cercare comparse sotto il Vesuvio dice di detestare. Ma ogni volta, sia che ricordi l’esuberanza sessuale della zia Patrizia (Luisa Ranieri, da applausi) o la spacconeria dell’amico contrabbandiere (Biagio Manna), l’altezzosità della baronessa Focale (Betti Pedrazzi) o la passione per Maradona di zio Alfredo (Renato Carpentieri), di ognuno di loro Sorrentino racconta prima le «follie» ma poi ne rivela anche l’umanità nascosta. Come a volerli riscattare e difenderli da giudizi affrettati. E alla fine non sai bene se hai assistito a una confessione in pubblico, a un privatissimo auto da fé, a una sorprendente riflessione su Napoli e i suoi miti. O probabilmente a tutte queste cose insieme, dentro a un film che conquista come con Sorrentino non mi succedeva da tempo.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera