Dove bisogna stare


12/04/2019 - 13/04/2019

Proiezione unica ore 21

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Regia: Daniele Gaglianone, Stefano Collizzolli
Interpreti: Jessica Cosenza - Se stessa, Lorena Fornasier - Se stessa, Georgia Borderi - Se stessa, Elena Pozzallo - Se stessa, Andrea Franchi - Se stesso, Jahanzeb Momand - Se stesso, Marina Escosso - Se stesso, Elena Silvia Massara - Se stessa, Monica Gagliardi - Se stessa, Davide Rostan - Se stesso, Renato Sibille - Se stesso, Drammeh Musa - Se stesso, Marilù Sansica - Se stessa
Origine: Italia
Anno: 2018
Soggetto: Daniele Gaglianone, Stefano Collizzolli
Sceneggiatura: Daniele Gaglianone, Stefano Collizzolli
Fotografia: Matteo Calore
Musiche: Evandro Fornasier, Massimo Miride, Walter Magri, Giorgio Ferrero, Rodolfo Mongitore
Montaggio: Enrico Giovannone
Produzione: Rai3 Doc3
Distribuzione: Zalab Film
Durata: 98


«In Italia oltre 10000 migranti in fuga da guerre, persecuzioni, catastrofi naturali e miseria, vivono senza un tetto sulla testa e con gravi difficoltà di accesso al cibo, all’acqua e alle cure mediche essenziali. Queste persone sono escluse dai centri di accoglienza finanziati dallo Stato. Per loro l’unica solidarietà arriva da italiani di tutte le età e di tutte le provenienze geografiche disposti anche a confrontarsi con l’atteggiamento sempre più ostile delle istituzioni». Si parte da qui, dal racconto di questo dove siamo, per dire dove bisogna stare. E si scelgono quattro storie, quattro esperienze diverse, per arrivare al punto.
A Pordenone, la psicoterapeuta Lorena ha scelto di rinunciare alla tranquilla vita da pensionata per dedicarsi a tempo pieno all’aiuto dei migranti che vivono in situazioni di estremo degrado, in città o nelle campagne intorno al fiume Isonzo. In Val di Susa, Elena, attivista No Tav, ha preso in cura, direttamente a casa sua, un profugo che ha rischiato di perdere le gambe per aver camminato per ore scalzo nella neve, alla volta del confine francese. A Cosenza, Jessica è impegnata attivamente nel centro sociale Rialzo e nella gestione clandestina delle occupazioni abitative. A Como, Georgia ha abbandonato il suo lavoro di segretaria per occuparsi di migranti e aiutarli con le sistemazioni, i permessi, i documenti, fino ad aiutarli a oltrepassare il confine. Nord, Ovest, Est, Sud: i punti sono cardinali perché reggono porte, sistemi di entrata e di uscita, sono di per sé zone di passaggio. Lorena, Elena, Jessica e Georgia vivono già, in un modo o nell’altro, al confine, nei luoghi dell’attraversamento e dello scambio. Là dove, nonostante tutte le possibili frontiere, nonostante i controlli, le imposizioni e i divieti, le cose sfumano e trascolorano, si ibridano e infettano. La questione, in fondo, è tutta qui. Nella possibilità di trasformare i limiti in qualcos’altro.
Del resto il film è strutturato in capitoli che prendono il nome da una frase o da una suggestione delle attiviste. Dunque: 1. pieno di pioggia, 2. non potevano muoversi come volevano, 3. political struggle, 4. pokemon. Tre capitoli ciascuno, anche se a un certo punto, giustamente, i confini saltano e la linea di successione impazzisce, gli interventi si confondono, ognuna delle protagoniste invade lo spazio che la linea narrativa sembrava aver destinato all’altra, mentre la voce occupa abusivamente il campo altrui.
Ecco, il film che pareva essersi dato un ordine rigoroso, mette in mostra queste infrazioni progressive, minime, ma ripetute. Come a volere far saltare i confini e le regole innanzitutto nella sua stessa struttura, nelle convenzioni della forma. Per tracciare traiettorie possibili di connessione e condivisione, oltre le differenze geografiche, anagrafiche, sociali, oltre le situazioni di partenza e le destinazioni finali, le questioni di cittadinanza e di colore della pelle. Del resto già la paternità del film è affare condiviso. Prodotto e distribuito da ZaLab, da un’idea nata in collaborazione con Medici senza frontiere, Dove bisogna stare è firmato a quattro mani da Daniele Gaglianone e Stefano Collizzolli, anche se poi alla regia è accreditato il solo Gaglianone. E del suo cinema riconosciamo lo sguardo, quella scelta morale di non invadere il campo, ma di far sentire comunque la propria presenza, una prossimità, una vicinanza. Come in quei brevissimi istanti in cui Georgia chiede scusa mentre parla al telefono o quando Jessica si commuove e, poi, cerca di farsi forza e di rincuorare chi la sta osservando: «vabbè, dai, non è morto nessuno». Ed è in questo star di fianco, qui e non altrove, che lo sguardo afferma la propria posizione, dichiara, senza retorica, l’urgenza politica di una scelta, l’idea di una verità che sta innanzitutto nell’incontro, nel confronto, nella disponibilità a star aperti. E che, inevitabilmente, si traduce in un rifiuto di ogni imposizione a rigor di norma, di ogni definizione burocratica o moralistica, di ogni ipotesi di esclusione. Non sarà a caso che incontriamo i volti spesso ai margini dell’inquadratura, come a forzarne la gabbia, a indicare la necessità di una continuazione, di un legame con qualcos’altro che sta là, nel fuoricampo. Mentre, in certi momenti, la macchina a mano si fa caotica, frenetica, quasi a smarrire le coordinate esatte, chiuse e concluse delle cose, il loro contorno preciso.
Dove bisogna stare, dunque? Risponde Jessica, in fondo: «tra queste gente, in questo mondo». «Lì dove c’è la vita vera», rilancia Lorena a distanza. Cioè là dove le cose accadono e cambiano, sulla linea di passaggio, sul punto nodale di un’evoluzione. Dove si scopre di far politica così, senza saperlo, con l’affermazione quotidiana di una scelta di campo e di una prospettiva mobile.
Aldo Spinello, SentieriSelvaggi