Cold War


15/02/2019 - 16/02/2019

Proiezione unica ore 21

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Regia: Pawel Pawlikowski
Interpreti: Tomasz Kot - Wiktor, Agata Kulesza - Irena, Joanna Kulig - Zula, Borys Szyc - Kaczmarek, Jeanne Balibar - Juliette, Jacek Rozenek - Józef Rózanski, Cédric Kahn - Michel, Martin Budny - Americano, Philip Lenkowsky - Straniero, Adam Woronowicz - Console, Adam Ferency - Ministro, Adam Szyszkowski - Guardia, Drazen Sivak - Investigatore 1, Slavko Sobin - Investigatore 2, Aloïse Sauvage - Cameriera, Anna Zagórska - Ania, Tomasz Markiewicz - Capo del ZMP, Izabela Andrzejak - Mazurek, Kamila Borowska , Katarzyna Ciemniejewska , Joanna Depczynska , Gracjana Graczyk , Dominika Ladziak , Martyna Mankowska , Zofia Nowak , Anna Pas , Patryk Jurczyk , Pawel Kasprzak
Origine: Gran Bretagna, Francia, Polonia
Anno: 2018
Soggetto:
Sceneggiatura: Pawel Pawlikowski, Janusz Glowacki
Fotografia: Lukasz Zal
Musiche:
Montaggio: Jaroslaw Kaminski
Produzione: Opus Film
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 89


Un amore travagliato e dirompente, le ferite ancora aperte di una guerra appena conclusa, il gelido grigiore di una società sovietizzata, l’alcool come forma di ebbrezza e di oblio, spirali di fumo addensate in sofisticati localini notturni. Difficile definire un film come Cold War: un romanzo sentimentale raccontato per ellissi? L’onirica rievocazione di una memoria altrui? Un melo congelato? Un omaggio al cinema nouvelle vague Anni 60, che fu fenomeno non solo francese, ma internazionale?
Di sicuro è una pellicola che, sul frammentario filo di rapporto amoroso corroso dai veleni di un regime repressivo, riverbera la temperie della Polonia comunista fra il 1949 e il 1964 con una libertà che la censura di allora non avrebbe mai permesso.
Nato a Varsavia nel 1957, approdato adolescente in Inghilterra dove ha trascorso gran parte della sua esistenza, Pawel Pawlikowski da qualche anno è tornato a vivere in patria, una scelta che ha senz’altro ispirato la sua vena di cineasta inducendolo a rimestare sia nella storia del paese, sia nella biografia dei genitori cui Cold War è dedicato. Il tutto esaltato dal meraviglioso bianco e nero d’epoca di Lucasz Zal, già direttore di fotografia di Ida.
Si parte in uno scenario postbellico di macerie e fango dove il pianista Viktor, facendo provini per mettere su una compagnia folklorica di canto e ballo, punta gli occhi su Zula, una bionda bellezza slava provvista più di carica erotica che di talento. Qualche tempo dopo, lo spettacolo, inteso a esprimere l’autentica voce popolare, viene imbastardito con inni a Stalin, facendosi strumento di propaganda in casa e all’estero; e per di più Zula, pur pazza di amore per Vicktor, gli confessa di aver accettato di spiarne le mosse su ordine di un viscido burocrate.
È un’incrinatura che provoca una frattura: durante una trasferta in una Berlino Est non ancora divisa dal Muro, lui se la fila all’Ovest; lei non se la sente di affrontare l’avventura e rimane. I due si ritrovano a Parigi – Viktor jazzista bohemien, Zula in tournée, ancora ardenti di passione e pronti a ricominciare. Ma nell’ambiente intellettuale e chic di Viktor, la giovane donna si sente sradicata, trasuda infelicità, si estenua in frenetici rock, riparte.
Abbruttito dal clima di burocrazia e delazione dell’Est, l’amore dei due rischia di disperdersi sotto il vento libero dell’Ovest. Sarà poi Viktor a decidere di seguire questa creatura misteriosa come una femme fatale di un noir, solida come la terra madre, fragile come una Marilyn sognata da un esistenzialista, inafferrabile come un’eroina di Godard o di Polanski.
Tornando a sopra, in qualsiasi modo lo si voglia definire, Cold War – premiato a Cannes, vincitore degli European Film Awards e nella rosa dei candidati all’Oscar straniero – è un film di rapinosa bellezza visiva, innervato dei palpiti e delle atmosfere di un’avvolgente colonna musicale fra folklore, jazz e Chopin. Opera personalissima che testimonia di un vero talento artistico.
Alessandra Levantesi Kezich, La Stampa

Il mondo dei due protagonisti è osservato nel quindicennio fra il 1949 e il 1964: scene e sequenze organizzate in una spirale di capitoli che si accorciano avvicinandosi alla conclusione del film. All’inizio è la desolazione dell’immediato Dopoguerra polacco, alla fine è una nazione paralizzata da Stalin. I due amanti, chiamati a salvarsi reciprocamente da fughe e prigionie a corrente alternata, si muovono raminghi con andate e ritorni tormentati e spesso improvvisi: dall’Est sovietico all’Ovest «libero», dai canti e balli popolari polacchi al cool jazz della Parigi anni ’60.
La musica, infatti, è il denominatore comune narrativo del racconto, essendo i due protagonisti cantante (lei) e musicista e compositore (lui). E mentre si prendono e lasciano si amano alla follia, arrivando ad agire solo ed esclusivamente in nome di un amore votato all’eternità. Lontano dal biopic, per esplicita dichiarazione dell’autore, Cold War resta fedele alla meccanica agendi dei suoi genitori considerati esemplari di quel periodo, anime disperate e in perenne ricerca di identità. E in tal senso, il testo di Pawlikowski è – come lo era Ida – un poema politico sul concetto di patria che per il regista è molto amplio, rappresentando «una sfera di emozioni e lingue con cui sono cresciuto e che ho bisogno sempre di recuperare avendo vissuto all’estero per quasi tutta la vita. Il concetto di “patria” è un tema sempre aperto nel mio cinema». Nel suo genere, Cold War esprime la sintesi di un cinema esemplare: teso, struggente e rigorosamente passionale, un ossimoro che si addice all’afflato di libertà laddove viene negata. Il film è in uscita per Lucky Red il 20 dicembre. Non perdetelo.
Anna Maria Pasetti, Il fatto quotidiano