Silence


10/03/2017 - 11/03/2017

Proiezione unica ore 21

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Regia: Martin Scorsese
Interpreti: Andrew Garfield (Padre Sebastian Rodrigues), Adam Driver (Padre Francisco Garupe), Liam Neeson (Padre Chistovao Ferreira), Tadanobu Asano (Interprete), Ciarán Hinds (Padre Valignano)
Origine: Stati Uniti
Anno: 2016
Soggetto: tratto dal romanzo Silenzio di Shusaku Endo
Sceneggiatura: Jay Cocks, Martin Scorsese
Fotografia: Rodrigo Prieto
Musiche: Kim Allen Kluge, Kathryn Kluge
Montaggio: Thelma Schoonmaker
Produzione: Martin Scorsese, Emma Tillinger Koskoff, Randall Emmett, Barbara De Fina, Gastòn Pavlovich, Irwin Winkler, Vittorio Cecchi Gori per YLK
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 161'


Bisogna partire dal 1988 quando, durante una proiezione speciale de “L’ultima tentazione di Cristo” a New York per i leader religiosi, Martin Scorsese conosce l’arcivescovo Paul Moore che gli fa omaggio di una copia del romanzo di Shusaku Endo “Silence”. Pubblicato in Giappone nel 1966 e tradotto in inglese nel 1969, il libro colpisce a fondo l’attenzione del regista. Scorsese pensa da subito che ci sia materia per trarne un film. Da quel momento passano tuttavia oltre venti anni durante i quali l’italo-americano realizza molti altri titoli. Non smette tuttavia di pensare a quel progetto che finalmente si concretizza nel 2016 con il film odierno. Il punto di partenza resta il romanzo di Endo, uno dei non molti scrittori a mettere in campo un punto di vista cristiano, nato a Tokio nel 1923, battezzato all’età di 11 anni, scrittore dal 1958 con storie quasi tutte legate a temi religiosi e cristiani. Nel ricostruire queste drammatiche pagine di storia, Scorsese mette in scena tutto il proprio sguardo fatto di vigore, solennità espressiva, pietà. Dentro di sé, il regista ha lo slancio di un’eredità costruita attraverso titoli quali “Taxi Driver”, “Toro scatenato”, “The Departed” (Oscar 2007), tutti meccanismi nei quali il contrasto tra bene e male si fa lancinante dissidio di sofferenza. Ora lo scontro tra religioni arriva ad una elaborazione più profonda, quasi che il passare degli anni e l’esperienza abbiano permesso a Scorsese di entrare nelle pieghe di un’analisi più lucida e fredda. Di fatto il nodo centrale è il momento dell’abiura. Padre Sebastiao, imprigionato, prega, si aggrappa alla croce per sfuggire alla crudeltà del dolore. Non smette di chiedere un segno, una parola di orientamento e conforto da Dio. E una voce sembra risuonare nel silenzio, proprio nel momento della ‘caduta’, forse l’abbraccio misericordioso di Dio dinanzi al grido di un figlio, come avvenne per il Figlio morto sulla croce. La ricostruzione della vicenda nel Giappone del 1640 ha una plasticità espressiva fortemente sofferta e sempre incisiva. La fotografia, livida di angoscia e di colori respingenti, la scenografia, precisa, di Dante Ferretti, la colonna sonora di Kim Allen Kluge sono tutti tasselli rivolti a comporre un affresco d’epoca tanto tempestoso quanto incalzante. L’immagine restituisce il senso della precarietà e della difficoltà del periodo. Un momento di autentica sofferenza, dentro una cornice di rinunce e di dolore atroci e insopportabili. Scorsese ha il merito di comporre questo dramma senza cadere in azioni prevedibili o toni didascalici. Anzi nel seguire le tragiche vicende dei due gesuiti, la regia riesce ad ‘allargare’ i confini del tempo affrontato. Al punto che, alla conclusione, l’impressione è che, mentre racconta il Giappone del 1600, Scorsese abbia voluto dire qualcosa all’uomo di oggi. Come un stringente e doveroso omaggio ai cristiani ancora perseguitati nel mondo del Terzo Millennio. Per questi motivi, il film è da valutare come complesso, problematico e da affidare a dibattiti.

(Commissione Nazionale Valutazione Film)

 

Ci sono film che solo certi registi si possono permettere. Uno è senz’altro Martin Scorsese, che una carriera costellata di capolavori autorizza a fare un po’ quel che vuole. Così Martin ha potuto utilizzare un grande cast, un pluripremiato professionista come Dante Ferretti e un ricco budget per creare un film grave e intransigente, che non accarezza mai il pubblico nel senso del pelo. E comunque anche lui ha dovuto attendere molti anni, perché il progetto di adattare il romanzo dello scrittore cattolico giapponese Shusako Endo lo coltivava già dai tempi de L’ultima tentazione di Cristo. Se con quel film, da alcuni giudicato provocatorio, il regista indagava il dissidio tra fede e tentazioni della carne, con questo si piega invece su un argomento che da sempre ossessiona l’ex-seminarista Scorsese: il silenzio di Dio. (…) Le certezze del giovane padre, che si sente un po’ Cristo (in una scena si specchia in un laghetto e vede il volto del Salvatore), cominciano a vacillare: soprattutto quando gli fanno incontrare padre Ferreira, che ha abiurato calpestando un’immagine sacra. Silence è un film di una bellezza inquieta e insieme sommessa. Spesso le immagini sono avvolte nella nebbia; però acquistano una grande potenza drammatica nelle sequenze di martirio (con l’acqua, il fuoco, per dissanguamento) e, talvolta, sfumano nell’onirico, come nella scena del villaggio distrutto popolato solo di gatti. Certo non è un film per tutti i gusti, nella sua severità che sarebbe piaciuta a un maestro come Carl Theodor Dreyer. E alcuni momenti (soprattutto all’inizio della seconda parte) si dilungano troppo, tra discussioni teologiche ed episodi ripetuti, come quello del sosia giapponese di Giuda. Ma se chi predilige un cinema più dinamico non si convertirà, probabilmente, grazie a Scorsese, potrà almeno apprezzare l’ottima interpretazione di Andrew Garfield e della sua “spalla” Adam Driver. O il cameo di Liam Neeson che, col codino e il kimono, sembra tornato a quando faceva il maestro jedi Qui-Gon Jinn in Star Wars.

(Roberto Nepoli – La Repubblica)