La vita possible


25/11/2016 - 26/11/2016

Proiezione unica ore 21

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A conti fatti, avrebbe certo meritato la ribalta veneziana il nuovo film di Ivano De Matteo che ancora una volta va a rovistare fra i silenzi familiari e dirige un’orchestra di tre fragili insicurezze: una moglie picchiata e offesa dal marito, in fuga da Roma a Torino; il figlio 13enne che patisce la botta adolescenziale, in più la solitudine di un ambiente nuovo; l’amica che li ospita, attrice allegra e riccioluta nei capelli e nei pensieri. L’autore della Bella gente e dei Nostri ragazzi non è il voyeur di una violenza maschilista ben nota, ma guarda al giorno dopo, alla ricostruzione, alle nuove dinamiche affettive, complete di probabilità e imprevisti e finale open.

Due storie che interagiscono: la complicità femminile tra amiche che si aiutano, il ragazzo (Andrea Pittorino, bravissimo), turbato da una bionda prostituta e da un barista francese che gli fa da padre.

In quest’intreccio di emozioni frenate, il film trova verità, calore, curiosità di vita, avvertendo che non tutto è perduto, tanto che alla fine il pallone areostatico metaforizza, con strappo retorico, quella vita possibile, cioè normale, fatta di tanti oggi messi in fila. C’è un’atmosfera che sale le scale, va in auto, in bici e c’è il rabbioso odi et amo del teenager come nelle migliori occasioni freudiane, con solo un’ombra di rassicurazione di velluto tv.

Ma il film colpisce e si fa proteggere dalle bravure complementari di Buy e Golino, due Monica Vitti al prezzo di una: Margherita nella versione Antonioni, Valeria in quella Monicelli.

(Maurizio Porro – Corriere della Sera)

 

Il ritorno da scuola, in bicicletta, con un amico. I discorsi sul calcio, la casa per meta. Valerio rientra e vede quello che mai avrebbe voluto: il padre che colpisce la madre, con due pugni in pancia. Valerio se la fa addosso, e un po’ anche noi. È l’incipit de La vita possibile, quinto lungometraggio di finzione diretto da Ivano De Matteo.

Dopo l’ipocrisia della borghesia illuminata ne I nostri ragazzi (2014), il dramma dei papà divorziati ne Gli equilibristi (2012), l’ipocrisia della borghesia illuminata, ancora una volta, ne La bella gente (2008), il regista romano non cambia la cifra poetico-civile: il focus è sulla violenza sulle donne – aggravante – consumata nell’alveo familiare. (…). La camera è ad altezza donna, Anna e Carla, ma soprattutto ad altezza adolescente, Valerio.

Lo seguiamo per le vie di Torino, zona Balòn, prima a piedi e poi in bici, mentre scrive con l’inchiostro della solitudine, della marginalità (la liaison platonica e sofferente con la giovane prostituta interpretata da Caterina Shulha) e della richiesta di attenzioni (coetanei con cui giocare a pallone, e un padre putativo?) il suo romanzo di ri-formazione.

Per la madre cambia il registro, non il tema: deve cercarsi un nuovo lavoro, un nuovo dialogo con il figlio, un nuovo stare al mondo. Possibilmente, una nuova sfera affettiva, sessuale: le occasioni, complici i teatranti amici di Carla, non le mancano, ma le avvisaglie di un’altra violenza nemmeno.

(…) De Matteo suggerisce, non illustra; inquadra qualche raggio, non il sol dell’avvenire; non cerca la prassi, si “accontenta” della potenza, del divenire, perché la conseguenza prima della violenza è il blocco, la stasi, la mera inazione. Non casualmente, La vita possibile è un on the road da fermo: eppur si muove, direbbe Galileo.

Non tutto vi funziona, anzi, ma De Matteo ha qualche merito indiscutibile: filmare il dopo, innanzitutto, senza eludere la violenza ma senza limitarvisi; optare per una drammaturgia a fuoco lento, scansando l’ansia da prestazione patetica, le scene madri e la lacrima facile.

Un’opzione minimalista, un’attitudine riflessiva che si potrebbe scambiare per minimalismo poetico, piccineria stilistica: no, si chiama ascolto, mettersi in ascolto di una, seconda, vita possibile.

De Matteo sceglie la semplicità degli elementi – «La violenza di un uomo, l’amicizia di una donna, lo sguardo di un bambino» – e trova geometrie esistenziali variabili, empatiche, non ricattatorie, misurate anche nel dolore. (…)

(Federico Pontiggia – Il Fatto Quotidiano)

 

Regia: Ivano De Matteo; Attori: Margherita Buy (Anna), Valeria Golino (Carla), Caterina Shulha (Larissa), Andrea Pittorino (Valerio), Bruno Todeschini (Mathieu), Eugenio Gradabosco, Enrica Rosso, Stefano Dell’Accio, Tatiana Lepore, Dario Delpero; Anno: 2016; Soggetto: Valentina Ferlan; Sceneggiatura: Valentina Ferlan, Ivano De Matteo; Fotografia: Duccio Cimatti; Musiche: Francesco Cerasi; Montaggio: Marco Spoletini; Scenografia: Alessandro Marrazzo; Produzione: Marco Poccioni, Marco Valsania per Rodeo Drive, Barbary Films con Rai Cinema; Distribuzione: Teodora Film; Durata: 100’.